Di Barbara Ciarcia Luoghi, Territorio 6 ottobre 2020 Ettore Scola, il suo più illustre cittadino, l’ha celebrata, e resa nota al grande pubblico, con la pellicola ‘Trevico-Torino, viaggio nel Fiat-Nam’. Da Trevico si parte. A Trevico però si ritorna. Dal tetto della Campania (è il Comune più alto della regione, 1.094 mslm) il Sud ha diverse prospettive, e proiezioni. Qui negli anni è nata la casa della paesologia, su iniziativa di Franco Arminio, il cantore dei borghi abbandonati, del Mezzogiorno spopolato. Trevico in realtà non è un borgo qualunque. Trevico è una città a dispetto dei numeri sfavorevoli. Oggi conta 996 abitanti. Eppure conserva il titolo di città perché è stata sede vescovile. Lo dimostra il fatto che il vescovo di Utrecht, in Olanda, è anche vescovo di Trevico. “Nella cattedrale è conservata l’unica reliquia di un martire catanese, Sant’Euplio- racconta Nicolino Rossi, il sindaco della storica comunità trevicana-. Reliquia arrivata fin quassù nella notte dei tempi. Il 12 agosto, in occasione della festa di sant’Euplio, arrivano devoti da ogni dove”. Miracoli della fede che si combinano molto bene a quelli dell’economia locale che subisce una straordinaria botta di vita in quei giorni agostani. Il centro si ripopola. Il turismo religioso, ad esempio, potrebbe essere una strada, non la scorciatoia, per gabbare la desertificazione come se fosse l’unica inesorabile sorte toccata alle contrade irpine, crocevia di vivaci scambi commerciali e culturali. ph. Giovanni Bocchino L’industrializzazione di montagna è stata una sperimentazione fallimentare. Ma era il miraggio del post-sisma. Ha portato fortuna solo a pochi, e grosse delusioni a molti. Trevico fa parte del novero di quei borghi altirpini sfiorati da quelle promesse di progresso di benefici di ricchezza illusoria. Infatti il borgo non ha un’area di insediamento produttivo. Ha poche aziende, di nicchia e a conduzione familiare che producono bontà esportate in mezzo mondo. E poi ci sono quattro Pat, ovvero i prodotti agroalimentari tradizionali (castagna, patata, prosciutto e una specialità di pasta fatta in casa). È un indotto florido che dà reddito a diverse famiglie trevicane. La patata coltivata a certe altitudini ha proprietà particolari: è più ricca di selenio e potassio. E ha consentito poi di avviare solide aziende agricole specializzate nella produzione del tubero di montagna. Quando il cielo è terso, e le giornate sono scintillanti come in questa stagione, da Trevico si vedono i due mari: il Tirreno e l’Adriatico. E il promontorio del Gargano da un lato e il cono del Vesuvio dall’altro. Una serie di tornanti tagliano i boschi rigogliosi che scollinano fin sotto le mura del castello di epoca normanna, oggi sede di un importante centro meteorologico dell’Aeronautica Militare. Lo spopolamento di Trevico è iniziata mezzo secolo fa. La mèta dell’emigrazione locale era il Fiat-Nam, il sogno dei contadini di fare il salto nella classe operaia. Spesso era un viaggio di sola andata attraverso i cambiamenti sociali dello stivale. Il racconto di un’epoca, asciutto crudo realistico, è diventato poi un film firmato dal cineasta di Trevico, Ettore Scola, anche lui emigrato ma nella capitale. Lo sguardo limpido di Scola ha narrato quel fenomeno generazionale. L’emigrazione interna dall’Appennino meridionale alle Alpi, dai paesi-presepi d’Irpinia alle cinture operaie della pianura padana. Un viaggio che ha segnato il futuro, anche quello della Baronia di Vico. ph. Giovanni Bocchino Palazzo Scola, donato dal maestro al Comune, dovrebbe diventare un museo del cinema, un luogo dell’anima e della cultura. E gli amministratori locali ipotizzano da tempo all’organizzazione di un viaggio a ritroso, dal Fiat-Nam a Trevico. L’obiettivo è portare quassù turisti e cinefili. Una geniale intuizione contro la desolazione. “Per fortuna però- continua il primo cittadino, Nicolino Rossi- ci sono anche giovani che hanno deciso di restare qui che sono ritornati che non sono mai partiti. Bisogna comunque creare le condizioni perché i nostri figli possano restare a Trevico o in Irpinia. Il lavoro è la vera sfida che ci attende, l’unica piaga che affligge ancora il Sud. Noi dobbiamo puntare sull’ecoturismo, sul turismo sostenibile o esperienziale, e sulla promozione sempre più spinta delle tipicità locali, e su un’agricoltura di qualità. Abbiamo un patrimonio naturalistico invidiabile, e così quello enogastronomico. Manca, purtroppo, il know-how per invertire una tendenza negativa, e maledetta”. A Trevico, dove soggiorno pure Orazio decantando la bellezza dei luoghi, oggi non soggiorna più nessuno perché mancano le strutture ricettive. Un gap che l’attuale amministrazione comunale sta pensando di colmare incentivando iniziative di privati. “La nostra è una comunità viva e vivace- ha concluso il sindaco Rossi-. Oltre alla Pro Loco ci sono associazioni che si adoperano a organizzare eventi per rivitalizzare e promuovere Trevico. Dopo il Covid-19 confidiamo in una ripresa delle attività in favore del centro storico”. Una formula semplice e alternativa per farsi beffa dello spauracchio dello spopolamento, e soprattutto dell’isolamento. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Barbara Ciarcia Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Gruppo Vitillo. L... Articolo Successivo Senerchia, un gioiel...