Di Fiorenzo Iannino Storia, Territorio cultura, storia, territorio, vocazione territoriale, xd magazine 20 febbraio 2017 Il due giugno di settant’anni fa l’Italia divenne repubblica. Il referendum divise la nazione: il voto delle regioni meridionali, monarchiche se non sanfediste in molti ambienti (soprattutto urbani), rischiò di stroncare sul nascere la svolta necessaria per la rinascita nazionale. In tale contesto, fu comunque determinante il voto di importanti aree dove si stava sviluppando un intenso movimento di lotta per la terra: “molti -osservò Manlio Rossi-Doria dieci anni dopo- non si sono resi conto che, se la repubblica ha vinto in Italia, ciò si deve al fatto che aliquote assai forti di contadini meridionali hanno votato per la repubblica. Se non ci fossero stati il 40 per cento e il 35 per cento di voti per la repubblica nelle tipiche zone latifondistiche del Mezzogiorno noi avremmo ancora la monarchia”. Tra le province campane, quella di Avellino consegnò il massimo consenso alla repubblica (30,8%). Le cronache ci ricordano che la battaglia referendaria fu ovunque appassionata e spasmodica fin nel più piccolo centro della provincia. Ci furono vari scontri: il più grave si verificò ad aprile, allorché i reparti dell’esercito di stanza ad Avellino manifestarono clamorosamente in favore del re. I dirigenti della sinistra protestarono energicamente presso il ministro dell’interno Romita, informandolo sulle “vive apprensioni diffuse tra la cittadinanza circa la possibilità del libero svolgersi dei comizi”. Organizzarono anche una manifestazione con Ferruccio Parri, icona dell’intransigenza istituzionale. Il movimento monarchico (guidato da Alfredo Covelli, futuro segretario nazionale del PNM), rispose il trenta maggio con un imponente corteo di circa cinquemila persone. Alla fine, la monarchia fu bocciata in dieci comuni: Montecalvo, San Martino Valle Caudina, Morra De Sanctis, San Sossio Baronia,Guardia dei Lombardi, Vallata, Aquilonia, Bisaccia, Lacedonia, Bagnoli, Frigento, Flumeri, Torella dei Lombardi. Il nuovo assetto istituzionale fu subito accettato dall’opinione pubblica: “La provincia -titolò in proposito il ‘Corriere de’Irpinia’- fiera ed orgogliosa dell’omaggio che ha reso alla Monarchia, sente il dovere patriottico di accettare con alto spirito di concordia nazionale il responso della maggioranza”. Vecchi liberali e scudo crociato Il due giugno si votò anche per la Costituente (le elezioni comunali furono invece fissate in vari turni, tra la primavera e l’autunno). L’appuntamento confermò l’antica forza dell’elemento notabilare, che aveva profondamente segnato la stagione politica prefascista: non a caso, alla vigilia del voto, il prefetto Foti annotò che in Irpinia si stava profilando “una lotta di uomini e non di idee”. Era la sconfitta di Dorso! Secondo antica consuetudine, l’ampio e diversificato fronte liberale si presentò frammentato: Alfonso Rubilli guidò L’Unione Democratica Nazionale (UDN); Francesco Amatucci e Costantino Preziosi si candidarono con la Democrazia del Lavoro (DL); Il Blocco nazionale della Libertà (BNL) si affidò al giovane e combattivo Alfredo Covelli; Aurelio Genovese ed Emilio D’Amore scelsero il movimento dei combattenti (GCI); non mancò una meno importante compagine di “Reduci e combattenti”. L’Unione Industriale e il periodico “Irpinia economica”, diretto da Ludovico Testa, sostennero la lista dell’Uomo Qualunque, aperta a vari gerarchi fascisti scampati più o meno miracolosamente alle tenaglie dell’epurazione (“fino a qualche tempo fa trascurabile – annotò ancora il prefetto- il partito va acquistando terreno in questa provincia sia per la sua organizzazione e sia per i mezzi di propaganda di cui dispone”). Più complessa e per molti versi inedita fu invece la strategia della DC che, forte del sicuro e notevole appoggio garantito dalla chiesa locale, si presentò all’opinione pubblica come l’unica forza politica “moderna” capace di garantire i valori della conservatrice e rurale società irpina. Artefice di tale strategia fu il giovane segretario provinciale Fiorentino Sullo, che trovò una sponda nel consultore nazionale Salvatore Scoca (i due dirigenti si pronunciarono a titolo personale per la repubblica). La sinistra Nella sinistra, solo il Partito Socialista (PSIUP) poteva vantare un sia pur labile legame con la tradizione politica locale. I suoi candidati godevano anche di una certa popolarità, almeno nei territori di riferimento (Gaetano Acocella di Calitri, Alberto De Buono di Santa Paolina, Bartolomeo Giglio di Atripalda, il segretario provinciale e già sindaco di Solofra Vincenzo Napoli, l’arianese Ireneo Vinciguerra, l’avellinese Salvatore Moccia). Il PCI si radicò prevalentemente nei centri bracciantili dell’Alta Irpinia e dell’Ufita-Cervaro (ebbe una certa eco il giro elettorale di Giorgio Amendola che visitò Ariano, Bisaccia, Andretta, Montecalvo e Lacedonia). I candidati comunisti chiamati a rappresentare la provincia furono: l’ex confinato politico ravennate ed ora segretario federale Paolo Baroncini, gli avellinesi Giordano Bruno e Gaetano Iandoli, l’avvocato arianese Michele D’Alessandro, il commissario al comune di Flumeri Dante Giacobbe. Le dispute e le scissioni che da mesi travagliavano il Partito D’Azione ebbero una forte ripercussione anche in Irpinia. Lo stesso Dorso decise di candidarsi nel collegio di Bari come capolista della formazione di Alleanza Repubblicana. Un gruppo consistente di ex azionisti confluì invece nel Partito Repubblicano (PRI): con il segretario provinciale Ugo De Mercurio si candidò il sindaco di Lacedonia Nicola Vella, già commissario al comune di Bisaccia nel 1944/45 su designazione del locale CLN, giornalista ed agitatore repubblicano prima del ventennio, quindi dirigente azionista nonché redattore del settimalae “Irpinia Libera”. Altri ex azionisti aderirono invece alla Concentrazione Democratica Repubblicana (CDR) fondata da Ferruccio Parri: il candidato avellinese di maggior prestigio era sicuramente Carlo Muscetta. Gli eletti I risultati rispettarono le previsioni della vigilia. La maggioranza relativa andò alla DC (27,7%). La seguirono, più distanziate, le forze del frammentato universo liberale: DL (11,8%), UDN (11,5%), BNL (10,4%). Sotto il dieci per cento si collocarono i qualunquisti e le forze di sinistra: PSIUP ( 9 %), UQ (8,8%), PCI ( 5,7%), GCI (4,7%), CDR (4,1%), PRI ( 3,4%), P.d’AZ. ( 1,5%), PUN ( 1,4%). Furono eletti (direttamente oppure attraverso il meccanismo dei resti o delle opzioni): i democristiani Sullo e Scoca, il liberale Rubilli, il monarchico Covelli, il demolaburista Preziosi (subentrò ad Amatucci, morto proprio nel giorno delle elezioni), il repubblicano De Mercurio, il socialista Vinciguerra. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Fiorenzo Iannino Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Roberto Zaffiro: “Vi... Articolo Successivo L’arte della cartape...