Di Lidia Caso Cultura, Ius & Lex 24 novembre 2020 Sul canone di depurazione e sul pagamento dei relativi oneri la Corte di Cassazione è intervenuta con diverse Sentenze. Già nel 2015 con la sentenza n. 25112, venne dichiarato illegittimo l’art.14 della legge n. 36 del 94, che prevedeva «che la tariffa relativa al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui gli impianti centralizzati, pur se sussistenti, siano inattivi». Sarebbe pertanto, non solo illecito ma anche scorretto imporre al consumatore di pagare la quota relativa al servizio di depurazione nel momento in cui la controprestazione è assente. In passato i vari Giudici si sono pronunciati in tal senso dichiarando l’illegittimità del pagamento del canone se il Comune e/o l’Ente gestore del servizio idrico è sprovvisto di un impianto di depurazione delle acque centralizzato. Il Giudice di Pace di Pozzuoli aveva condannato la Società fornitrice alla restituzione delle somme, nei confronti di tutti gli ignari consumatori, che avevano indebitamente pagato i servizi di depurazione non dovuti. Infatti nella bolletta dell’acqua veniva addebitato tale onere. Il Giudice di Pace decideva appunto per la restituzione degli importi oltre al risarcimento del danno in favore dei Consumatori ignari di aver un pagato per un servizio non reso. In tutti i casi quindi in cui il Comune o l’ente gestore sia sprovvisto di impianto il consumatore ha diritto alla restituzione del canone di depurazione; ciò perché la tariffa del “servizio idrico integrato” così come ha precisato anche la Suprema Corte, rappresenta il corrispettivo di una prestazione commerciale, che, anche se determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo, bensì nel contratto di utenza. Di conseguenza, è irragionevole l’imposizione all’utente dell’obbligo del pagamento della quota riferita al servizio di depurazione anche in mancanza della controprestazione. Sulla base di tale principio già alcune Associazione di Consumatori hanno inoltrato una serie di ricorsi innanzi ai Giudici competenti; ricorsi accolti a favore dei richiedenti (fonte www.sosconsumatori.it) In tale senso anche la terza Sez. III della Cassazione con una Sentenza recente precisamente la n. 7947 del 20 aprile 2020 (PU 11 set 2019) ha espresso il seguente principio di diritto “Và esclusa la debenza del corrispettivo in tutti i casi di impossibilità materiale di fruizione del servizio di depurazione o di mancato funzionamento dello stesso per fatto non imputabile all’utente, stante l’assenza della controprestazione, cui non può non assimilarsi il caso di un impianto di depurazione che, pur esistente, non realizzi il servizio facendo venire meno il sinallagma previsto dalla legge”. A questa pronuncia se ne sono succedute altre e precisamente quella resa a seguito di un’azione giudiziaria intrapresa da un condominio e da diversi soggetti privati per ottenere il rimborso di quanto indebitamente pagato all’Azienda per il servizio idrico locale. Nello specifico i ricorrenti si erano attivati sulla base di quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 335/2008, che aveva stabilito che la quota della tariffa prevista per la depurazione delle acque non era dovuta se mancavano gli impianti di depurazione o questi erano temporaneamente inattivi. In questo caso infatti l’obbligo di pagamento non era correlato ad alcuna controprestazione. Da qui la decisione di attivarsi in giudizio per la ripetizione dell’indebito, visto che l’impianto di depurazione locale era “obsoleto e notoriamente non funzionante”( fonte integrale www.studiocataldi.it). Nello specifico la Corte ha evidenziato come “per effetto del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 258, art. 24 (…) si è passati all’applicazione della tariffa del servizio idrico integrato di cui alla legge 5 gennaio 1994 n. 36, art. 13 e ss.”. In rapporto alla tariffa di fognatura e di depurazione soggetta alla innovata disciplina, la Corte di legittimità ha affermato che i Comuni non possono chiedere il pagamento dell’apposita tariffa ove non diano prova di essere forniti di impianti di depurazione delle acque reflue. Invero, la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è divenuta, appunto, una componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, configurato come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa che, per quanto determinata nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza.” Per cui è il soggetto con cui l’utente ha stipulato il contratto di fornitura a dover provvedere al rimborso (fonte integrale www.studiocataldi.it). La Corte ha quindi emanato il principio secondo cui: “in caso di mancata fruizione, da parte dell’utente, del servizio di depurazione, per fatto a lui non imputabile, è irragionevole, per mancanza della controprestazione, l’imposizione dell’obbligo del pagamento della quota riferita a detto servizio.” Rimane a carico del soggetto esercente il servizio idrico integrato, in tutte le sue componenti il quale pretenda il pagamento anche degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche, tenuto a dimostrare l’esistenza di un impianto di depurazione funzionante nel periodo oggetto della fatturazione, in relazione al quale esso pretenda la riscossione. Ciò che rende indebita la richiesta di pagamento della tariffa per depurazione acque, nell’ambito del contratto di utenza relativo alla fruizione del servizio idrico, è, sia la “mancanza” degli impianti di depurazione, sia la loro “temporanea inattività”. Un’evenienza, quest’ultima, che nella sua ampia accezione include, non il solo “fermo” ma, appunto, l’assoluta inefficienza dell’impianto, e quindi la sua inidoneità al funzionamento. Diversamente si perverrebbe ad una conclusione in contrasto con la “ratio” stessa della pronuncia del giudice delle leggi, come già individuata dalla Corte, che è quella di rimarcare il carattere indebito del pagamento “in caso di mancata fruizione, da parte dell’utente, del servizio di depurazione, per fatto a lui non imputabile”, qualunque esso sia, essendo, in tal caso “irragionevole, per mancanza della controprestazione, l’imposizione dell’obbligo del pagamento della quota riferita a detto servizio.” (fonte www.studiocataldi.it). Sul punto, occorre muovere dal principio che “la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto”, in tal modo, ove il servizio di depurazione non sia stato fornito, ma quella quota di tariffa sia stata versata, è nei confronti della controparte del contratto di utenza che la pretesa restitutoria va azionata, in quanto è alla “effettiva fruizione del servizio di depurazione” che, “per la rilevata natura sinallagmatica del rapporto”, risulta “condizionato l’accoglimento della pretesa di pagamento” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 4 giugno 2013, n. 14042, Rv. 626790-01). Da ciò deriva che la titolarità del rapporto controverso, in relazione alla pretesa restitutoria trova il suo collegamento nel contratto di utenza. (fonte Cassazione III civile n, 3314 del 11/02/2020 www.ricercagiuridica.com). Per quanto afferisce la problematica del termine prescrizionale afferente la pretesa restitutoria la stessa trova titolo nella mancata esecuzione di una prestazione nascente dal contratto di utenza, pertanto compatibile e non in contrasto con l’applicazione del termine prescrizionale (decennale) previsto per la ripetizione dell’indebito. Per quest’ultimo è stato affermato che “l’indebito oggettivo si verifica o perché manca la causa originaria giustificativa del pagamento o perché la causa del rapporto originariamente esistente è poi venuta meno in virtù di eventi successivi che hanno messo nel nulla o reso inefficace il rapporto medesimo. Secondo l’orientamento pertanto la prescrizione breve (5 anni) si applica solo alle azioni volte ad ottenere il pagamento, e non – come nella specie – a quelle che hanno ad oggetto la restituzione di quote. Tale ragionamento parte dal presupposto che la richiesta di restituzione “riguarda prestazioni che maturano con il decorso del tempo e che, pertanto, divengono esigibili solo alle scadenze convenute, giacché costituiscono il corrispettivo della controprestazione resa per i periodi ai quali i singoli pagamenti si riferiscono”, con la conseguenza che “detta prescrizione si giustifica, quindi, sia in ragione della continuità del rapporto che richiede e consente un accertamento in tempi relativamente brevi dell’avvenuta esecuzione delle singole prestazioni, sia perché l’eventuale prescrizione di una singola prestazione non pregiudica il diritto all’adempimento delle rimanenti, per le quali la prescrizione non sia compiuta” – Cass. Sez. 3, sent. 30 gennaio 2008, n. 2086, Rv. 601285-01 (fonte: www.ricercagiuridica.com). Di conseguenza, “la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre, nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la stessa ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica” – Cass. Sez. Un., sent. 24 novembre 2011, n. 23763, Rv. 619392-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 28 maggio 2013, n. 13201, Rv. 626696- °1; Cass..Sez. Lav., sent. 16 aprile 2018, n. 9,.318, P.v. 6487 2.5-01 (fonte: www.ricercagiuridica.com). 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