Di Barbara Ciarcia Luoghi, Territorio 17 marzo 2021 TRA PASSATO E FUTURO, MEMORIA E OBLIO. LA LUNGA STORIA DELLE ARCATE SUL CALORE. C’è un ponte sospeso tra passato remoto e futuro prossimo, tra memoria e oblio. Un mirabolante sortilegio di ingegneria romana lo tiene ancora in piedi, radicato nei fertili terreni della Valle del Calore. Sopravvissuto ai bombardamenti aerei del 1943 sulla zona che segna il confine tra Sannio e Irpinia. Ponte Appiano, noto come ponte rotto, sbuca tra gli arbusti argentati che fanno ombra sulle acque del fiume Calore. Questa è terra di confine in tutti i sensi. Attorno al gigante millenario si fa la storia di questo territorio dove confluiscono cinque Comuni: Apice, Bonito, Calvi, Mirabella Eclano, Venticano. Eretto nel 312 a.C. per volere dell’imperatore Appio Claudio il cieco, il manufatto era impiegato per guadare il Calore. Oggi è rimasta una sola campata a testimoniare la grandezza ingegneristica dei Romani come un monolite pietrificato, conficcato in una terra amena, incantata. ph. Giovanni Bocchino “È un posto magico – esclamò qualche anno fa il giornalista e scrittore triestino Paolo Rumiz quando se lo trovò davanti durante il viaggio a piedi da Roma a Brindisi lungo l’antico tracciato della Regina Viarum, l’Appia. – Mi sono innamorato di questa terra e credo di amarla più di chi la abita. È un peccato non valorizzarla, ancor più ignorarla. Sono friulano ma sono un uomo appenninico. Conosco come le mie tasche i paesaggi irsuti e gibbosi dell’entroterra meridionale. Fin da piccolo sognavo di camminare sull’Appia e finalmente ci sono riuscito attraverso un viaggio avventuroso in cui mi sono purtroppo imbattuto col malaffare che ha soffocato la storia di questi luoghi e quasi cancellato la memoria di un passato glorioso.” Il ponte un tempo imponente oggi è stato ammansito dal tempo: è una traccia di memoria antica. È una presenza docile preziosa silenziosa al centro di un campo incolto, a due passi dall’ansa fluviale. La storia della costruzione dell’opera è avvolta dalle brume del mistero con propaggini esoteriche. Da queste parti, secondo uno studioso di storia locale, sarebbe stato individuato pure il noce stregato, quello usato dalle ‘janare’ per i riti sabbatici. L’Appia, patrimonio ancora non riconosciuto dell’umanità, era ed è la via del commercio. All’epoca era la strada del controllo romano sulle terre appenniniche e sulle Puglie, lo sbocco diretto a mare, sull’Adriatico e quindi verso le coste greche e orientali. Oggi è un tracciato sdoppiato che porta anche fuori strada a chi prova a seguirlo secondo la rotta originale, quella dei tempi remoti. C’è l’Appia antica e quella moderna: un nastro d’asfalto che scollina verso la Lucania, la terra luminosa, per sbucare poi in direzione del Tavoliere delle Puglie, e da lì svicola dritta verso Brindisi. Qui finisce una storia e ne comincia un’altra. Oltre i sentieri c’è una strada maestra, la regina delle vie dell’Impero Romano d’Occidente. Sua maestà l’Appia. E Ponte Appiano è la sua appendice. Un percorso a ostacoli attraverso storia e leggenda dei luoghi dell’anima. Un raggio di luna fende la vallata fertile dove si proietta l’ombra del ponte-totem. E ai piedi delle arcate si allunga anche l’ombra del mistero dei riti del Sabba delle janare sannite. Non a caso lungo l’Appia sono nate solide civiltà e comunità grazie agli scambi commerciali tra le genti d’appennino e quelle marine. La strada dei traffici economici interseca quella della storia di un territorio che si è progressivamente svuotato. L’anima dei luoghi è però intatta. Ponte Appiano è uno snodo strategico, un crocevia tra due sponde, due epoche, due civiltà che si ritrovano ancora a commerciare a scambiare merce a sperimentare forme di convivenza in un mondo sempre più interconnesso e sempre più confuso. “Spetta alle amministrazioni locali di questa meravigliosa terra – ha aggiunto a suo tempo sempre Paolo Rumiz – credere e scommettere sulle potenzialità di Ponte Appiano e dell’Appia. Il ponte è simbolo di una ripresa di possesso della via Appia. È l’identità vera di un territorio che merita più attenzione e rispetto. Voi per primi però dovete crederci e invertire la rotta. Se si riscopre l’importanza dell’opera romana si ha pure l’arguzia di mettere in moto un indotto turistico e commerciale che recherà a sua volta sviluppo e ricadute positive per le comunità locali”. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Barbara Ciarcia Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente LA DOGANA ARAGONESE... Articolo Successivo AL CAMICERIA VESTE L...