Di Barbara Ciarcia Luoghi, Territorio 7 giugno 2021 ALL’OMBRA DELLA TORRE ARAGONESE IL RICHIAMO DELLA QUALITÀ. LA VIA DEL SALE E DELLO ZUCCHERO INTERSECAVA GLI ANTICHI TRACCIATI DELLA VALLE DEL CALORE. Pietradefusi, sin da epoche remote, è stato snodo strategico e piattaforma logistica di qualità. Ancora oggi mantiene fede a quella millenaria tradizionale commerciale e alimentare. Da qui passavano pure i percorsi della fede e della cultura. I primi opifici artigianali vocati alla produzione e conservazione di salumi e dolcezze mandorlate e nocciolate sono sorti a poca distanza dalla Torre Aragonese, vedetta eretta nel centro medievale del borgo rinomato nel mondo per il ‘copeto’, ovvero il torrone, tipico dolce natalizio che ha fatto la fortuna di alcune famiglie locali. Anche la prima sagra d’Irpinia, quella del fusillo pietrafusano, non a caso, vanta una lunga e solida tradizione: solo il Covid l’ha momentaneamente stoppata. Qui è nato Lodovico Acernese, fondatore dell’ordine religioso delle Francescane Immacolatine, e padre spirituale della beata Teresa Manganiello. È una terra santa, e feconda. Qui è stato istituito uno dei più blasonati licei-ginnasi della provincia: è intitolato a un intellettuale munifico del posto, Dioniso Pascucci, ed è palestra formativa all’avanguardia per le generazioni del comprensorio. Fino a settant’anni addietro Pietradefusi, ai confini con il Sannio, vantava di un territorio comunale vasto, il più vasto in quell’area. La scissione da Campanarello (oggi Venticano), e la nascita di un nuovo municipio, ha assestato un colpo duro all’economia e alla demografia locali che, nonostante tutto, sembrano reggere comunque alle crisi future. ph. Fabrizio De Marco “La popolazione attuale- spiega Giulio Belmonte, sindaco al terzo mandato consecutivo, entrato nel guinness locale dei primati amministrativi – si attesta intorno ai 2.300 abitanti. La desertificazione oggi è solo quella della piazza. La pandemia poi ha fatto il resto. Il borgo d’estate si rianima con la rievocazione di eventi storici come quello in onore di San Faustino, il patrono. È pur vero che i giovani vanno via, ma si tratta di scelte personali, insindacabili. Chi resta trova per fortuna lavoro nelle aziende dell’area pip di Dentecane, la maggiore della zona”. Sono una decina gli stabilimenti attivi, in prevalenza operanti nel settore agroalimentare, che lavorano a pieno regime e garantiscono il reddito a circa cinquecento dipendenti. E di questi tempi è una notizia che rincuora, e dà speranza. La terra del torrone è anche un prodigioso laboratorio politico contro l’erosione dei servizi e quindi della popolazione. Sempre qui, a Dentecane, oltre vent’anni fa è stata creata la prima Unione dei Comuni d’Irpinia. Sempre a Pietradefusi fu ideato, una manciata di lustri addietro, il glorioso e ambizioso ‘Festival del Cinema’, indimenticabile passerella di un periodo dorato per star e starlette programmato ogni estate ai piedi della Torre Aragonese. La rassegna conquistò molto presto la ribalta mediatica nazionale: approdò pure alla celeberrima Mostra del Cinema di Venezia. Ma dopo quindici memorabili edizioni il sipario calò definitivamente sulla ribalta pietrafusana, e non se n’è fatto più nulla. ph. Fabrizio De Marco “A breve inaugureremo la nuova sede dell’Unione dei Comuni nell’ex edificio scolastico di Dentecane – incalza sempre Giulio Belmonte -. Si tratta di una istituzione fondamentale contro l’impoverimento delle nostre piccole comunità che hanno appunto bisogno di federarsi per realizzare progetti e ottenere soprattutto i finanziamenti necessari per farli”. Il sogno di Belmonte, è una confessione a cuore aperto, resta sempre quello di riportare il Festival del Cinema sotto la Torre Aragonese, fiore all’occhiello di Pietradefusi, vetrina per quel territorio. La fine della kermesse ha in fondo segnato il tramonto di un’epoca vivace per la comunità locale. Il riscatto attuale sta nel dinamismo associativo che da queste parti non ha eguali. Al forum dei giovani e delle donne si affiancano altre recenti associazioni molto attive in ambito sociale e ricreativo. “Anche queste è una forma di resistenza contro l’assottigliamento abitativo – conclude ancora Belmonte – mantenere vive le tradizioni è segno di vitalità e identità. Purtroppo, a causa dell’avvento smisurato dei social si è perso il piacere di socializzazione reale, dei rapporti umani, della piazza come agorà, luogo di incontro e confronto anche generazionale.” Questo, ahinoi, ha contribuito solamente alla diffusione di un senso di spaesamento. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Barbara Ciarcia Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Giambattista Assanti... Articolo Successivo La Cheese Experience...