Di Fiorenzo Iannino Storia, Territorio cultura, Irpinia, storia 29 giugno 2017 Il 18 aprile 1948, in provincia di Avellino il Movimento Sociale Italiano (alla prima prova elettorale) alla camera ottenne 6509 voti, pari al 2,7% (poco più della media nazionale). Al senato, il partito conquistò l’elezione del sindaco di Ariano Enea Franza: presentatosi con il simbolo dell’orologio, fu l’unico senatore missino della prima legislatura. Da allora, e fino all’ultimo mandato, concluso nel 1968, Franza fu un parlamentare moderato rispetto ai falchi del suo partito (anche per questo suo pregio fu lungamente capogruppo), dialetticamente rispettato anche dagli avversari. Fu invece intransigente nei dibattiti di natura ideologica riguardanti il recente ed infausto regima fascista, di cui il MSI si sentiva erede, Clamoroso, a questo proposito, fu l’episodio accaduto il 14 dicembre 1949, allorché il senatore arianese subì il provvedimento di espulsione dall’aula. Il fatto ebbe una vastissima eco sulle prime pagine dei quotidiani nazionali di ogni tendenza politica, che generalmente approvarono la decisione della presidenza. L’attentato a Col Alt e la polemica in aula Quel pomeriggio, mentre il dibattito procedeva stancamente, giunse la notizia che alcuni giorni prima il monumento ai partigiani di Col Alt, in provincia di Udine, era stato gravemente danneggiato da un attentato dinamitardo. Il demolaburista friulano Luigi Gasparotto protestò vivacemente contro la provocazione di chiara matrice neofascista, presentando un’interrogazione urgente. Un’ulteriore interrogazione fu firmata dagli ex partigiani Lussu e Pertini. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio, il democristiano Edoardo Martino, ammise e deplorò la natura politica dell’attentato. Pur approvando la dichiarazione dell’esponente del governo, Emilio Lussu osservò polemicamente che, non casualmente, l’attentato era stato preparato mentre la giustizia cominciava ad essere tollerante verso i gerarchi della repubblica di Salò. Di più, invitò l’assemblea ad inviare un omaggio unanime alla memoria dei partigiani caduti a Col Alt. Il solo senatore Franza, a voce alta, dichiarò di non volersi associare al saluto. A questo punto scoppiò la bagarre. Il vicepresidente Molé, dopo aver calmato a stento gli animi, si rivolse duramente al collega missino: “Senatore Franza, la prego di voler spiegare le sue parole, le quali sono tanto più inopportune in quanto offendono il sentimento unanime del Senato. Desidero sapere se lei abbia voluto offendere il sentimento di esecrazione di tutto il Senato per questi atti delittuosi di distruzione dei monumenti che ricordano il sacrificio dei caduti per la Patria”. Franza ribadì la propria posizione: “Quando sono entrato nell’Aula, sentendo l’onorevole Lussu, ho appreso che egli manifestava espressioni di recriminazione per i fascisti della Repubblica Sociale ed esaltava i partigiani e, mentre chiedeva ulteriori misure gravi contro i neo-fascisti, volendo farsi interprete del pensiero unanime dell’assemblea, inviava il suo saluto ai partigiani. A questo saluto, non conoscendo i precedenti della discussione, ho dichiarato che non potevo associarmi e non mi sono associato”. Il presidente, che pure rimproverò aspramente i parlamentari più scalmanati (tra questi, il comunista Negarville), rimproverò Franza: “Lei non solo offende il sentimento del Senato ma con le sue parole ribadisce dei concetti, dei pensieri, delle apologie che per legge dello Stato non sono permesse. Se ella insiste, dovrò proporre al Senato l’applicazione, nei suoi riguardi, della censura”. Rimasto fermo nelle sue convinzioni, il senatore missino subì il provvedimento, che ritenne ingiusto: “Onorevole presidente, io non posso ritirare quello che ho detto […] Mi ha ordinato di uscire dall’aula ed obbedisco. Vi ricordo, però, che io sono qui perché eletto dal popolo”. Uscito dall’aula, fu a mala pena protetto dai questori e dai valletti, che fecero davvero fatica a respingere l’urto verbale e materiale dei più accesi avversari. Ristabilita la calma, Molé, esortò l’assemblea alla correttezza ma anche all’inflessibilità in difesa dei valori su cui si fondava la giovane democrazia italiana: L’autodifesa del senatore Con una lettera inviata nel giro di poche ore al presidente del Senato Ivanoe Bonomi, ribadendo che mai avrebbe potuto associarsi ad un saluto che discriminava i caduti fascisti della Repubblica Sociale, Franza chiese la revoca della censura, da lui considerata illegittima anche nella forma: “Onorevole Presidente, il Vice Presidente onorevole Molè, nella seduta di questa sera, ha applicato nei miei confronti la grave sanzione della censura senza porre ai voti la proposta. Il provvedimento, illegittimo nella forma, non trova neppure giustificazione nel fatto che ha dato luogo all’applicazione della sanzione. La mia espressione, sebbene abbia dato luogo a recriminazioni ed invettive, non ha certamente turbato l’ordine dell’Assemblea e non avendo io, dopo quella espressione, agito in modo da provocare un nuovo richiamo, è manifesta la ingiustizia del provvedimento. Come risulterà dal resoconto stenografico, nel momento stesso in cui il senatore Lussu, dichiarando di interpretare il sentimento unanime dell’assemblea, inviava il saluto del Senato ai partigiani, io ho affermato che non mi associavo. Ritenevo e ritengo che una siffatta dichiarazione non fosse per assurgere ad offesa per l’Alto Consesso di cui mi onoro di far parte. Ove l’onorevole Lussu avesse uniti nel suo saluto tutti i soldati d’Italia, dell’una e dell’altra parte, che si erano battuti in purezza di ideali per la Patria, io mi sarei associato a lui con fervido cuore. Ma egli purtroppo nel suo discorso aveva lamentato che non tutti i fascisti della Repubblica Sociale fossero stati soppressi e per questa impostazione soprattutto, che contrasta con il sentimento unanime degli Italiani, desiderosi di pacificazione e di concordia, mi sono indotto a rendere quella dichiarazione che certamente non potevo ritrattare. Perciò, stante la illegittimità formale e sostanziale del provvedimento, confido che, in sede di approvazione del processo verbale, si provvederà alla revoca della sanzione, il che non mi è consentito chiedere a viva voce in quanto l’incombenza del provvedimento mi impedisce di presenziare alla seduta di domani”. La lettera venne comunicata all’aula il giorno dopo. Molé, che presiedeva ancora la seduta, non volendo entrare nel merito del documento, ribadì soltanto di aver applicato il regolamento, osservando che l’allontanamento dall’aula, palesemente approvato all’unanimità dall’assemblea, era stato deliberato dopo tre formali richiami all’ordine. Da parte sua, Gasparotto affermò che “per noi tutti i caduti, anche quelli morti nell’adempimento di un penoso dovere come quelli che sono caduti in obbedienza al governo fascista, sono tenuti nel maggior rispetto; certo che sono più cari al nostro cuore quelli che sono caduti nell’adempimento di un grande ideale, quello di restituire alla Patria l’onore che era stato compromesso. Dunque, in un saluto ai caduti non vi era possibilità che vi fosse voce dissenziente […] quindi io propongo che l’Assemblea, ben lungi dal revocare il provvedimento, plauda all’operato del Presidente”. Alla fine, su formale richiesta del comunista Fabrizio Maffi, la proposta di esclusione dall’aula fu definitivamente approvata per la durata di tre giorni. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Fiorenzo Iannino Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Avellino al tempo de... Articolo Successivo San Barbato, una for...