Di Valerio Massimo Miletti Luoghi, Territorio arte, castelli, cultura, Irpinia, storia, vocazione territoriale 3 maggio 2017 Visito il castello di Morra De Sanctis in un pomeriggio estremamente ventoso, guidato da Francesco Pennella, della locale Pro Loco, che con la sua competenza e cortesia mi accompagna in tutte le fasi dell’escursione. La posizione è dominante, come è giusto che sia, ed il panorama che si gode dal piazzale antistante al castello è davvero mozzafiato. Siamo ad 800 metri circa s.l.m. Nuvoloni neri si addensano all’orizzonte, impedendo in parte di godere dello spettacolo, ma dinanzi a noi ecco la Valle dell’Ofanto e di fronte l’altopiano del Laceno. In basso, tutto l’abitato che ovviamente si è sviluppato nei secoli successivi. Il castello, recentemente restaurato con cura, si presenta con muratura in pietrame, a pianta rettangolare con un ingresso centrale stretto da due imponenti torri cilindriche laterali munite di feritoie. Sovrasta il portone d’ingresso, uno stemma in pietra calcarea con le insegne della famiglia Morra. Passando all’interno, eccoci in una corte rettangolare dove si aprono altri ingressi verso l’edificio vero e proprio. Sulla destra vi è una cisterna di raccolta di acqua piovana e un bel sarcofago di epoca romana, purtroppo molto usurato dal tempo in quanto usato nei decenni scorsi, evidentemente all’aperto, come abbeveratoio per animali. Sul muro del lato sinistro, una targa datata 2013 ricorda la riapertura al pubblico del castello, ringraziando la sensibilità dei principi Biondi Morra e l’impegno dell’Amministrazione Comunale. L’impianto attualmente visibile deve essere, grosso modo, quello risalente al XVII secolo quando furono effettuati restauri e poi molte modifiche in seguito al sisma del 1694. Tuttavia il castello trae le sue antiche origini in periodo longobardo, IX secolo, anche se le prime notizie storiche risalgono al 1137, in periodo normanno. Nel Catalogus Baronum, infatti, si narra del condottiero Roberto de Morra, Signore di Morra e di Castiglione di Morra, che va all’inseguimento dell’Abate Rainaldo di Montecassino, diretto a Melfi. La famiglia Morra, già radicata in loco in questo periodo, era una potente famiglia con proprietà anche a Benevento e nel Cilento, tra Camerota e Palinuro, ed annoverava tra i suoi membri diversi personaggi illustri, quali il cardinale Alberto, poi divenuto papa nel 1187 con il nome di Gregorio VIII, il cardinale Pietro e Arrigo Gran Giustiziere del Regno, viceré di Sicilia. In seguito alla riuscita negativa della cosiddetta Congiura di Capaccio del 1246, contro l’imperatore Federico II, i Morra furono messi a morte e privati del feudo e dei loro beni che riacquistarono dopo alcuni anni, in seguito alla caduta degli Svevi nel 1266 e all’arrivo degli Angioini, con Carlo I. Dopo circa un secolo, tuttavia, il castello subì un grave saccheggio da parte delle truppe angioine, durante il periodo delle lotte tra gli Angiò e i Durazzo, con conseguente passaggio del feudo alla famiglia Giamvilla e poi ai Caracciolo, segnando un periodo di decadenza per l’edificio, divenuto residenza secondaria per i nuovi feudatari. Ritornò ai Morra nel 1618 con Marco Antonio, consigliere regio e alto magistrato, che lo acquistò per 22.000 ducati e che subito si adoperò per il restauro. Il castello perse, così, le caratteristiche di difesa tipiche degli edifici medievali e si trasformò in residenza gentilizia, più adatta ad ospitare alti prelati, letterati e aristocratici, che soldati in armatura. E tanti, infatti, furono gli ospiti che si avvicendarono nel castello, molti dei quali sempre importanti personaggi della famiglia, come Lucio Morra, arcivescovo di Otranto, o Giovan Battista, vescovo di Isola. Anche il principe di Sant’Angelo, Giovan Vincenzo Imperiale, in visita a Vittoria Morra, rimase ospite del castello ma poiché i lavori con molta probabilità non erano ancora completati, lasciò commenti negativi nei suoi “Diari”. E sempre in questo secolo la famiglia, sempre più potente, ottenne da Filippo IV di Spagna il titolo principesco che fu concesso a Goffredo Morra nel 1664. Come già detto, l’edificio subì gravissimi danni in seguito al sisma del 1694 che il principe provvide a riparare. Successivamente i componenti della famiglia preferirono trasferirsi stabilmente nei palazzi di Napoli e Benevento, trascurando così il castello che fu abitato nuovamente solo a metà dell’800. Nel 1799 subì danni a causa di un saccheggio messo in atto dalle truppe francesi. Nel 1806, con le leggi eversive della feudalità, i principi Morra persero il feudo ma mantennero il castello a cui erano fortemente legati anche perché, nella vicinissima chiesa madre, dedicata ai SS. Pietro e Paolo, avevano diritto di sepoltura. La chiesa, a cui si accede attraverso un bel portale barocco, si presenta a croce latina e unica navata dove, sulla destra, vi è l’accesso alla Cappella gentilizia della famiglia. Ricca di opere d’arte, merita certamente anch’essa una visita accurata, così come merita attenzione anche il campanile della chiesa poiché, con la sua pianta quadrata, sembra che fosse originariamente una torre della cinta muraria. Infatti presenta alla base tre archi di accesso, di cui uno a sesto acuto. Il castello subì altri danni con i vari terremoti (1794 – 1805 – 1887 – 1930) e nel 1911 fu anche rovinato da un incendio che distrusse gran parte dell’archivio di famiglia. Ma il colpo di grazia lo ricevé nel 1980 con il sisma del 23 novembre che, purtroppo, tutti ricordiamo. Crollò un’intera ala, così come furono ridotti ad un cumulo di macerie la facciata principale e le due torri di guardia laterali. Un vero disastro. È lo stesso principe don Brizio Biondi Morra, nella prefazione dell’interessante volume dedicato al castello e commissionato dal Comune, a raccontarci come il padre, Goffredo principe di San Martino, Ambasciatore d’Italia, nonostante fosse sempre all’estero per lavoro, avesse fatto di tutto per recarsi sul posto con il fratello Camillo, duca di Belforte, ed altri membri della famiglia, per rendersi conto della gravità dei danni. E fu in quell’occasione che scaturì l’idea di donare al Comune il maniero perché potesse essere restaurato e restituito alla comunità morrese, a simbolo di rinascita culturale e sociale. E così è stato. Il castello, dopo tanti anni di lavori e recupero certosino, ha ripreso il suo aspetto originario, così come lo si vede adesso. Al primo piano, oltre a due appartamenti che i principi si sono riservati per loro abitazione e in cui passano parte dell’estate, vi sono delle sale convegni, ottimamente attrezzate. Vi si accede attraverso un antico portale seicentesco, che dava nella sala d’armi, dove sull’architrave vi si legge ancora un’iscrizione che recita così: “D. GOFFREDUS. D(E) MORRA MARCHIO MONTIS/ ROCCHETTI ET PRINCEPS MORRE/ A. D. MDCLXXV”. Vi è anche una sede dell’Università degli Studi Guglielmo Marconi, Sezione Telematica, prima Università “aperta” riconosciuta dal MIUR. Al pianterreno, invece, la suggestione è ancora maggiore poiché si trovano dei locali perfettamente recuperati, interamente in pietra, con copertura a volte, dove addirittura vi è una cucina in muratura e un forno certamente antichissimi. Questi locali, un tempo destinati alla servitù, e adibiti a depositi e stalle, sono adesso utilizzati occasionalmente per eventi, mostre fotografiche, degustazioni enogastronomiche. A pochissimi metri, inoltre, la casa natale del personaggio più noto del paese, Francesco De Sanctis, critico letterario, politico e ministro della Pubblica Istruzione, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della nascita (28.03.1817 – 28.03.2017). Fu in suo onore che il paese, una volta denominato Morra Irpina, mutò il nome in Morra De Sanctis nel 1937. Tanti i motivi, quindi, per recarsi a Morra quest’anno: il castello, un bel centro storico, le celebrazioni per il bicentenario desanctisiano che hanno preso il via il 28 marzo, la cortesia e l’ospitalità dei suoi abitanti, un panorama mozzafiato. Che dire di più? Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Valerio Massimo Miletti Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Le terre di Valter: ... Articolo Successivo Il Museo Irpino del ...