Di Lidia Caso Cultura, Ius & Lex 20 maggio 2020 Con le nuove tecnologie le modalità di comunicazione sono cambiate e quotidianamente si utilizzano sistemi veloci di interlocuzione quali sms, mail e soprattutto Whatsapp. La Cassazione si è occupata, con un interessantissimo intervento, di verificare le modalità di utilizzo delle email, degli sms e dei Whatsapp, come prova nei processi, soprattutto quando gli stessi risultano offensivi e minacciosi. I messaggi Whatsapp hanno pieno valore di prova come gli sms e le mail; messaggi che non possono essere disconosciuti mediante una generica contestazione da parte del legale e la Cassazione con la Sentenza numero 19155/2019 ha indicato e precisato termini e modalità per l’acquisizione delle conversazioni durante i processi. (fonte: https://www.money.it/Whatsapp-valore-legale-prova-in-giudizio-Corte-di-Cassazione di Isabella Policarpio). L’intervento ha avuto una grande valenza sia giuridica che pratica: tramite Whatsapp è possibile acquisire informazioni immagini, fotografie ed anche registrazioni, che, possono essere fondamentali per la risoluzione di un caso in giudizio. Vi sono ovviamente dei limiti, sia per la veridicità che per l’affidabilità delle chat. La Corte infatti ha precisato che le conversazioni possono essere utilizzate solo con l’acquisizione del supporto telematico ove è avvenuta la comunicazione (fonte: https://www.money.it/Whatsapp-valore-legale-prova-in-giudizio-Corte-di-Cassazione di Isabella Policarpio) secondo i Giudici infatti (orientamento ormai consolidato), i contenuti di Whatsapp rappresentano la memorizzazione di fatti storici, e quindi devono essere considerati alla stregua di una prova documentale ( art. 234 Codice di Procedura Penale). Lo stesso articolo 2712 del codice civile prevede che le riproduzioni meccaniche, fotografiche, informatiche, le registrazioni fonografiche e, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose, formano piena prova, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime ( in ciò rientrano anche le copie fotografiche di scritture che hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta). Partendo da tale principio, la Cassazione aveva già riconosciuto pieno valore probatorio sia agli SMS che agli MMS, ritenuti “elementi di prova” (Cass. Civ. 11/5/05 n. 9884), chiarendo che in caso di disconoscimento della “fedeltà” del documento all’originale, rientrerebbe nei poteri del Giudice accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 26/01/2000 n. 866, ex multis); tali disposizioni sono state applicate anche ai messaggi WhatsApp ai quali peraltro, (documenti informatici ai sensi della L. 40/08), si applicano tutte le norme in materia presenti nel nostro ordinamento (fonte: https://giuricivile.it/messaggi-whatsapp-valore-legale/). Per ri-portare il contenuto delle conversazioni Whatsapp in giudizio esistono diverse modi. L’acquisizione in giudizio dello smartphone, come detto innanzi, è la regola fondamentale. Infatti, la rappresentazione fotografica o fonografica non ha alcun valore se non si presenta anche il supporto e solo con l’acquisizione è possibile avere la certezza del contenuto e la genuinità della stampa.( fonte: https://www.leggioggi.it/2019/01/07/messaggi-whatsapp-prove-legali-processo/ Da Luisa Camboni). Altro metodo è quello di far leggere il contenuto dei messaggi ad un terzo che poi sia disposto a testimoniare in giudizio, esponendo il contenuto della conversazione, con le conseguenze che ne derivano in caso di dichiarazioni mendaci. In tal modo il contenuto Whatsapp entra nel processo come ogni altra prova testimoniale anche se questa possibilità è ammessa solo in caso di teste diretto , ossia testimone oculare dei messaggi o delle immagini e non teste de relato.( fonte:https://www.money.it/Whatsapp-valore-legale-prova-in-giudizio-Corte-di-Cassazione di Isabella Policarpio). Altro metodo è quello dell’acquisizione di uno o più screenshot del display del cellulare; una volta realizzato lo screenshot, il file stampato o prodotto tramite supporto informatico viene allegato al fascicolo. In questo caso lo screenshot può essere considerato prova solo se non viene contestata dalla controparte; al riguardo la Cassazione ha precisato che non basta la semplice contestazione, ma questa deve essere accompagnata da motivazioni che la giustifichino. In caso di contestazione dell’acquisizione potrebbe essere disposta la trascrizione dei messaggi ( Trib. Milano Sez. lavoro, Sent., 24.10.2017). Il giudice può nominare un perito al quale andrà consegnato lo smartphone, che, dopo un esame del supporto e della chat, provvederà a riportarne il testo su un “documento ufficiale” che diventa una prova vera e propria. La perizia di acquisizione della prova in questo modo non è opponibile o, in caso di opposizione, è possibile verificare e certificare in contraddittorio l’integrità e l’autenticità dei messaggi e delle chat Whatsapp. Il perito informatico forense deve ovviamente essere coinvolto fin dall’inizio, proprio per preservare e “congelare” ogni possibile prova della diffamazione o dell’ingiuria su chat o gruppi Whatsapp o Telegram producendo una relazione tecnica a fini legali da utilizzare in Tribunale per eventuale querela e richiesta di risarcimento danni in sede civile.( fonte https://www.dalchecco.it/servizi/perizie/perizia-cellulare/analisi-tecnica/perizia-whatsapp/).Nello scenario giurisprudenziale ci si è chiesto allora quale valore possano avere messaggi Whatsapp in alcune forme di comunicazione in casi particolari quali il licenziamento intimato via messaggio. In questo caso la Cassazione ( Cass., civ. sez. lav., 13 agosto 2007, n. 17652) ha stabilito che, in tema di forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia, non sussiste per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali, potendo, la volontà di licenziare essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta purché chiara. Da tale presupposto il Tribunale di Catania ha ritenuto che il “ recesso intimato a mezzo WhatsApp assolva l’onere della forma scritta trattandosi di documento informatico che parte ricorrente ha con certezza imputato al datore di lavoro, tanto da provvedere a formulare tempestiva impugnazione stragiudiziale” Considerato che la legge, nel prevedere che il licenziamento debba essere intimato per iscritto, non specifica quale mezzo debba essere usato, ma solamente che sussista la prova che la comunicazione sia arrivata al destinatario in questo caso il lavoratore. (fonte: https://giuricivile.it/messaggi-whatsapp-valore-legale/;https://giuricivile.it/messaggi-whatsapp-valore-legale/). Il messaggio inviato via WhatsApp è considerato alla stregua di un documento informatico che, ove ricevuto, ha piena validità soprattutto quando il dipendente impugna il licenziamento, dimostrando in modo inequivocabile di aver ricevuto e di aver imputato il messaggio con certezza al datore di lavoro. Anche l’offesa al datore di lavoro in un gruppo Whatsapp viene ritenuta giusta causa di recesso, rilevante ai sensi dell’art. 2119 c.c., considerato che il ricorrente, attraverso la creazione, condivisa con i colleghi di lavoro, di un gruppo WhatsApp intitolato al proprio superiore gerarchico “ha intenzionalmente posto in essere una condotta volta a denigrare il proprio responsabile di lavoro, da lui apostrofato con epiteti palesemente e pacificamente offensivi e denigratori, sicuramente idonei a sminuirne la credibilità e autorevolezza, trattandosi fra l’altro di un gruppo WhatsApp in cui sono esclusivamente presenti dipendenti della resistente e creato in parallelo a quello utilizzato dal datore per comunicare i turni e gli ordini di lavoro“.(Trib. Milano Sez. lavoro, Sent., 30.05.2017). Con un ulteriore intervento il Tribunale di Ravenna Sent. 231 del 10.3.2017 ha considerato come prova il messaggio inviato in una chat con il quale si afferma di avere un debito nei confronti del destinatario; messaggio che equivale ad un riconoscimento del debito stesso ex art 634 c.p.c. ( fonte: https://giuricivile.it/messaggi-whatsapp-valore-legale/;https://giuricivile.it/messaggi-whatsapp-valore-legale/). Alla luce di quanto detto e in considerazione della rilevanza che la tecnologia assume nella nostra Società è importante pertanto prestare molta attenzione a ciò che si pubblica e che si scrive mediante le forme di comunicazione analizzate (fonte: https://www.diritto.it/whatsapp-validita-giudizio-dei-messaggi-chat/). Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Lidia Caso Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Il settimo lavoro di... Articolo Successivo I RENANERA L’anima m...