Di Elisa Giammarino Storia, Territorio 3 novembre 2020 Domanda cruciale nei mesi che sono stati e per quelli che verranno. Un work in progress adrenalinico, che riaccende le speranze. Pare che qualcosa si stia muovendo, creando una sorta di controtendenza, come un orologio le cui lancette hanno iniziato a girare in senso antiorario. Dunque via gli sguardi stanchi e nostalgici di chi lavora al nord ma sogna il sud. Via quella supplica dagli occhi di chi sogna “casa”. Perché, in fondo, il 2020, tra le tante tragedie, ci ha anche regalato un’utopica realtà che inseguivamo da anni, rendendola effettiva per un po’. Pare che la nuova frontiera post lockdown sia il lavoro da remoto al nord, ma vivendo al sud. Paradossale, vero? Eppure l’impensabile è diventato possibile senza troppo rumore. E così “South is the new black”, il sud è diventato magicamente la nuova tendenza, meta sognata, cercata, amante mai dimenticato e finalmente ritrovato. Da smart working a south working il passo è stato breve ed è bastato un attimo, o meglio un giorno con la riapertura e con gli spostamenti tra regioni, per scatenare un’inversa fuga di cervelli verso i luoghi d’origine. Il south working, è così che si chiama, è il lavoro smart svolto dal meridione, che fa capolino da Palermo, dove la giovane ricercatrice dell’Università del Lussemburgo ma palermitana doc, Elena Militello, gli ha dato i natali. Lavorare e studiare al sud diventa l’obiettivo dell’Associazione no profit “South Working – Lavorare dal Sud”, un progetto lanciato in Sicilia da giovani professionisti italiani con esperienza all’estero e volto a diffondere la possibilità di lavoro agile da dove si desidera, in particolare dalle regioni del Sud. Poter tornare a casa e non vedersi più costretti a inseguire le proprie ambizioni professionali, rinunciando a molto, questo è il desiderio più grande. La pandemia ha lanciato l’amo, ora tocca a noi saperlo cogliere al meglio. Intanto, all’improvviso, le città, gli uffici e i ristoranti si sono svuotati. L’affluenza, le code e il vociare caotico dei grandi centri pare essersi affievolito. Gli studenti hanno restituito le chiavi, disdetto affitti, perché se si può studiare da giù, seguendo le lezioni e sostenendo gli esami a distanza, non c’è un attimo da perdere. Così come non ha prezzo lavorare nel silenzio dei borghi, immersi nella natura. C’è nella modalità di lavoro agile qualcosa di estremamente affascinante ed è la possibilità di lavorare in quei luoghi che fanno bene all’anima. Mica poco! Ci sono luoghi in cui è più facile stare in pace con sé e con il mondo, luoghi che, per questo, consentono di rendere meglio. Forse lo avevamo rimosso. Forse avevamo rimosso che siamo anche spirito, emozioni, sensazioni. Là dove si può, tuttora, si continua a lavorare o studiare da casa, dove casa è l’insindacabile parola che indica il sud, dove casa è il paese tutto che ti attende quando ritorni. Per intenderci. Potendo lavorare ovunque, grazie all’ausilio delle nuove tecnologie, potrebbe migliorare notevolmente la qualità della vita di molti. Ovviamente non deve mancare una stabile connessione, che renderebbe raggiungibili e abitabili luoghi decentrati, superando barriere infrastrutturali e generando un po’ di sano equilibrio territoriale. Potrebbe… è possibile… si può? Finora ce l’abbiamo fatta e lo abbiamo fatto, nonostante tutto. Magari spesso senza accorgercene e senza dare nome e cognome alla situazione. Magari il south working era anche quella mail inviata sotto l’ombrellone in riva al mare cristallino di un torrido agosto, mentre con un’auricolare rispondevamo alla videochiamata in arrivo e con un occhio guardavamo, oltre lo schermo, l’orizzonte… Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Elisa Giammarino Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Senerchia, un gioiel... Articolo Successivo Vincenza Luciano, Av...