Di Adamo Candelmo Storia, Territorio storia, territorio, vocazione territoriale, xd magazine 20 settembre 2018 Da un opuscolo di Gabriele Criscuolo, stampato nel 1940 dalla Salentina di Lecce abbiamo attinto notizie su due briganti operanti in Avellino, Pietro Manfra e Antonio Palumbo. Raccontiamo le loro malefatte perché in Avellino pochi sanno dei due briganti che, dopo l’Unità d’Italia, imperversarono in Avellino e nell’interland, e di come il Manfra venne ucciso da un prete con l’aiuto della sorella, una energumena (un maschio sbagliato) che lo immobilizzò tenendogli le mani dietro lo schienale della sedia ed il prete gli conficcò un coltello nel cuore. La banda prese il nome di Pietro Manfra che la comandava, e che aveva addestrato un grosso cane che, col suo fiuto, segnalava gli sbirri in arrivo o in agguato,essa si distinse per atti di ardimento e ferocia senza pari,i briganti alle volte si travestivano per prendere parte,così mascherati,a balli e giuochi pubblici e ad altre manifestazioni,per spargere il terrore o per punire coloro che,al fine lodevole di liberare il prossimo da sì grande sciagura, erano solleciti spiare i loro passi e riferire circa la loro presenza all’autorità,nella speranza di concorrere alla loro cattura e riscuotere la taglia. Circa la morte del Manfra è da evidenziare che la banda,per le malefatte, aveva molto impressionato le autorità cittadine di Avellino le quali avevano assegnata una taglia di lire 20,000,pari a più di cento milioni di lire del 1940, a favore di chi avesse consegnato vivo o morto il Manfra,e lire 4.000 per ogni altro componente della banda. Le autorità vennero a conoscenza che la banda spesso si rifugiava nella casa di un prete di Monteforte Irpino,il quale provvedeva per il desinare.Più degli altri componenti della banda il Manfra era divenuto famigliare in quella casa, ricevendone anche alloggio e, si diceva, che godeva di grandi deferenze da tutta la famiglia del prete. L’autorità venuta a conoscenza della cosa,al prete, se voleva conservare la libertà, fu fatto categorico ordine di fare quanto era in lui per la cattura e la soppressione di quei briganti. Con opportuni accordi si stabilì che a tarda ora di una determinata sera,un drappello di guardie si accostasse nelle vicinanze dell’abitazione del prete ed attendere il segnale di luce con un lume,per poi avanzare,e di sorpresa catturare i briganti che erano soliti trattenersi presso quella casa.Dopo di aver concordato l’intesa,la forza pubblica restò in attesa di ricevere il segnale convenuto per agire.Il Manfra,recatosi,come di consueto,a cenare presso il prete, dopo mangiato e bevuto più del solito, quando parve che fosse stordito dal vino, l’energumena sorella del prete,mentre era ancora seduto a tavola,lo immobilizzò incrociando le sue braccia dietro lo schienale della sedia per impedirgli ogni movimento,dando agio al fratello di conficcargli un coltello nel cuore.Azione fulminea attentamente studiata perché il decesso doveva avvenire all’istante, per impedire alla vittima di avere il tempo e la forza di chiedere aiuto ai componenti della banda. Compiuto l’efferato delitto il prete, dalla finestra della camera lanciò il segnale luminoso per far intervenire le guardie ,che non si mossero con la dovuta celerità.Il cane della banda, fiutata la vicinanza degli sbirri,abbaiò reiteratamente allertando i briganti che incominciarono a sparare contro gli agenti che risposero al fuoco; i briganti, inferiori di numero, riuscirono a rompere l’accerchiamento e complice l’oscurità riuscirono a dileguarsi.A scaramuccia terminata agli agenti non restò altro da fare che constatare l’avvenuta morte del Manfra,raccogliere la salma, trasportarla per consegnarla al comando militare per le debite constatazioni di legge. Morto il Manfra gli successe al comando della banda il vice, Antonio Palumbo che fu più crudele del predecessore; si dette ad ogni sorta di strage,per cui sparse sangue anche innocente anche di chi per futili motivi ebbe la sventura di aver a che fare con lui. Un turpe e straordinario esempio di viltà,teso a farsi temere , e far capire ai cittadini che la banda era sempre in attività,e che essa era ancora capace di una ferocia senza pari, fu perpetrato dalla banda che prese un infelice,lo crocifisse, innalzando la croce davanti la caserma dei Carabinieri,sita nell’ex convento di S.Generoso a Porta Puglia;quest’ultimo fu un gesto di sfida alle autorità per dimostrare che essi erano ancora capaci di osare l’inosabile. Dall’episodio cruento della crocifissione passarono pochi mesi,la banda fu sorpresa dalle forze dell’ordine in una abitazione di un paese vicino ad Avellino. La furiosa lotta durò due giorni ed alla fine del fiero combattimento i Carabinieri e la truppa, intervenuta di rinforzo, arrestarono tutti i componenti che si erano dati ad una precipitosa fuga. La storia non ci ha tramandato il nome: del crocifisso, del prete assassino,chi riscosse la taglia posta sul capo del Manfra e sugli affiliati, del paese dove fu sgominata la banda ed arrestati i componenti, e quali condanne ebbero il Palumbo e gli altri briganti. Altre bande di briganti operavano in Irpinia e sono quelle: di La Gala; di Antonio Caruso di Avella, che nel giugno del 1861 liberò dal carcere di Caserta La Gala e altri cento detenuti; di Angelo Bianco,decapitato dai suoi gregari;di Domenico il Calabrese; di Antonio del Mastro detto lo zappatore;di Antonio Pungolo; a Baiano operava la banda di Piciocchi; ad Ariano le bande di Perozzi e Andreotti;a Cervinara le bande dei fratelli Romano,Miseria, Colarulo,Di Tora Angelantonio;A Monteforte banda dei soldati sbandati; a Mugnano la banda di Angelo Bianco detto Turri Turri; a Vallata le bande di Schiavone e Sacchitiello detto caporal Agostino, natio di Bisaccia; a Volturara la banda Cerino-Lutero. 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