Di Paolo Speranza Storia, Territorio storia, territorio, vocazione territoriale, xd magazine 19 febbraio 2018 Qual era (ed è) il segreto della straordinaria, florida bellezza delle donne di Ariano? L’aria salubre di montagna, certo, il “purissimo aere”, come lo definirono ai primi dell’800 i geografi Bianchi e Cuciniello. Ma ciò non basta a spiegare un fenomeno rilevato senza distinzioni da tutti i viaggiatori di passaggio sul Tricolle. Forse la discendenza da una stirpe di eroi, si spinge a fantasticare qualche autore. Il Castelluzzi, alla fine del XIX secolo, è preda di una vera e propria fascinazione: la “folgorante bellezza delle fanciulle irpine doveva essere qualche cosa di divino”, scrive a pag. 15 del suo Reminiscentia (Ariano di Puglia, 1892). Se non proprio divine, sicuramente “irresistibili” le giovani donne di Ariano, afferma con convinzione assoluta, nello stesso periodo, Angelo Canonico, che in maniera più terrena e sensuale celebra nelle sue pagine l’apoteosi della bellezza muliebre nell’importante comune irpino, inserendosi a pieno titolo in una tradizione che annovera antecedenti illustri. Fra questi, lo stesso “genius loci”, Parzanese: M’han detto i paesani: tu sei bella, / la capigliera hai d’or; / fragola fresca è la tua bocca, o Stella, / e non conosci amor? Versi pieni di sensuale ammirazione per una bionda fanciulla del suo paese, di primo acchito insospettabili (ma solo per chi è ancora fermo allo stereotipo del “buon canonico” coniato da Muscetta) per un autore intriso di spiritualità come il Parzanese. Fu uno dei suoi più illustri e convinti estimatori, lo scrittore Antonio Baldini, a rilevare sul finire degli anni Trenta, nel suo best seller L’Italia di Bonincontro, che le donne “gli facevano un grandissimo effetto”. E a conferma di tale asserzione fa seguire i versi di Parzanese dedicati, stavolta, a una giovane bruna di Ariano: Se tu sapessi, cara brunetta, / come il tuo negro sguardo saetta, / pari a un’errante vaga guerriera / faresti agli occhi una visiera… L’ammirazione per le giovani donne di Ariano, da parte del Parzanese, non deve peraltro intendersi come una debolezza, per così dire, di natura campanilistica. Sotto questo aspetto, come si è visto, il poeta irpino era in buona compagnia, dal momento che – come ha rilevato anche lo studioso Antonio Alterio nel recente e documentato Le donne di Ariano – la floridezza della popolazione femminile del Tricolle ispirò molte pagine e impressioni di viaggio. Per limitarci ai contemporanei del Parzanese, ecco le riflessioni del sovrano Francesco I di Borbone (“Qui, tutte le donne portano della mantelline di panno rosso in testa e gonnelle dell’istessa roba; effetto graziosissimo a vedersi quando ve ne sono molte lungo la strada”) e dello scrittore Cesare Malpica a pag. 45 del suo Il giardino d’Italia (1840): “Guarda le donne che intente al lavoro seggono presso agli usci e farai la tua pace col paese; e ti sentirai consolato nel vedere che almeno fra sì brutte mura vi sono sì belle abitatrici”. Lo stesso Baldini ne resta ammirato, citando un passo del diario del garibaldino Alfredo Binda, che – con linguaggio assai più esplicito e moderno rispetto al Parzanese – ci consegna una testimonianza memorabile sulla bellezza delle donne di Ariano: “L’ alba del 28 ottobre sorse a rischiarare la nostra partenza per Ariano. La discesa era molto più lieta della salita. Arrivammo verso le 4 in quella grossa borgata di cui ho parlato in principio, in bella e pittoresca posizione, ma montuosa, disagevole, niente incivilita. Non so se si debba all’aria finissima o alle sue eccellenti acque la strana floridezza e robustezza in queste ragazze, chè, anche le più civili, di 14 anni, al petto pronunciatissimo si giudicherebbero di 19 o 20 anni almeno”. Sulla scorta del Binda, qualche decennio dopo, un altro autore ribadisce con la perentorietà di un postulato il rapporto di causa-effetto tra la salubre aria di montagna e la bellezza muliebre che aveva del prodigioso: “L’aere lieto e delizioso, – scrive Ermenegildo Castelluzzi nel citato libro del 1892 – rinfrescato dai venticelli, che l’estate vengon su dalle colline circostanti; le feste, i giuochi, che spesso improntavano forma e carattere religioso, tiravano qui gli Appuli, fatti un tantino alla sibaritica, dagli ardori estivi, che sotto il loro cielo imperavano assai afosi e maligni. Ve li tiravano i parentadi, chè la maschia e folgorante bellezza delle fanciulle irpine doveva essere qualche cosa di divino, se, anche oggi, che scaduto alquanto vi è il tipo, giovaneggiano bellezze veramente belle e sorridenti”. Alla fine del XIX secolo Angelo Canonico, autore dell’interessante Alla Corte d’Assise in Ariano di Puglia (1885), dà letteralmente sfogo alla fascinazione che gli “occhi belli delle irresistibili arianesi” esercitano su di lui: “Sono vestite a festa, ed alcune – le arianesi purosangue – portano la tradizionale gonna turchina, il fichu di mussola rilevato sugli omeri, come spalline, e un busto décolleté nel quale s’intravede….tutto il segreto del loro fascino muliebre. – E queste sono le popolane. Le signore, poi, o mostrano i delicati visini dalle piccole finestre, o appoggiano le formose persone ai ferri dei balconi, o, sulla terrazza, fanno la concorrenza ai fiori”. Il tributo più attendibile, e del tutto disinteressato, giunge tuttavia da due osservatrici: una viaggiatrice francese dell’800 e una regista contemporanea. Quest’ultima, Lina Wertmuller, descrive con toni ammirati la nonna arianese: “Il Sud è il Sud e il cavalier Arcangelo la moglie la voleva del Sud. Precisamente della terra di sua nonna: l’Irpinia. Terra di montagne, di stregonerie e di caratteri duri, famosa proprio per la struttura forte e sana delle sue donne. Così arrivò ad Ariano Irpino dove aveva dei parenti materni. Ricordava una certa signorina Angelina, intravista una volta ancora adolescente; l’aveva colpito la fierezza del viso, le labbra tumide, i grandi occhi neri e fondi, un naso sottile dalla forte gobbetta aristocratica e un’aria molto sulle sue, sostenuta e riservata. Quando da Ariano Irpino era passato Garibaldi c’era stato un pranzo dal podestà…E lei, Angelina bambina, era stata scelta per portare all’eroe un mazzo di fiori”. 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