Di Paolo Speranza Persone, Territorio persone, territorio, vocazione territoriale, xd magazine 26 febbraio 2017 È senza dubbio un personaggio da film il “principe dei musici”, che ormai da qualche decennio attira cineasti e artisti di fama internazionale. Il caso più recente è quello di Mimmo Paladino, che alla vigilia dell’anniversario legato al compositore (deceduto l’8 settembre del 1613) riuscì a concretizzare l’ambizioso progetto di un film: Labyrinthus, protagonista Alessandro Haber, è il cortometraggio di 15 minuti che completa l’omaggio a Carlo Gesualdo dell’artista di Paduli, che nello stesso anno, nell’antica cappella di Villa Rufolo a Ravello, realizzò una installazione, in cui spicca una scultura con un arciliuto – strumento di cui si attribuisce l’invenzione al principe di Venosa – imprigionato in un groviglio di bronzo. Per Paladino un ritorno al cinema di fiction dopo il Don Chisciotte musicato da Lucio Dalla, che con il Gesualdo interpretato da Haber ha in comune quella dimensione di ansia e follia che genera tormenti esistenziali e al tempo stesso una mirabile creatività visionaria. E’ questa portata innovativa, quasi “futurista”, della musica di Carlo Gesualdo, che convive in una contraddizione palese e stridente con la fedeltà alle tradizioni di casta e all’oscurantismo religioso e civile del personaggio e della sua casata, a costituire il tema centrale di Labyrinthus, come se la musica di Gesualdo, spiega Paladino, “fosse un intrico complesso da eseguire”, nella sua ansiosa ricerca di perfezione. E’ l’eredità culturale del grande madrigalista, più che la sua vita romanzesca, ad ispirare l’originale chiave di lettura di Paladino, che mira a restituirci la figura e l’opera del compositore a partire dal capitolo conclusivo della sua tormentata esistenza: il testamento. Di questo personaggio straordinariamente carico di luci e ombre emerge così, nel film di Paladino, soprattutto il suo profilo – per dirla col regista – di “raffinatissimo, fantasioso compositore e un ricercatore di forme e suoni nuovi. Quindi l’elemento musicale sembra come scollato dal suo dramma personale. A me basta sapere che lui ha fabbricato delle strutture sonore che posso ancora ascoltare e queste mi trasmettono suggestioni capaci di suggerirmi delle immagini”. Un omaggio cinematografico raffinato, necessariamente giocato su luci e suggestioni, nel tentativo di restituirci le atmosfere dell’epoca e dei luoghi di Gesualdo, sulla scia di due illustri registi ed estimatori del madrigalista: Luigi Di Gianni, uno dei maggiori documentaristi europei, autore dell’ormai classico Appunti per un film su Gesualdo (2009) e da anni inesausto fautore di un progetto cinematografico più ampio sul compositore irpino, a partire dalla sua sceneggiatura intitolata Il principe dei musici; e Werner Herzog, regista cult dei cinefili di tutto il mondo, che nel 1995 offrì un contributo decisivo alla riscoperta di Gesualdo con il documentario Death for five voices (Morte a cinque voci), realizzato per la rete televisiva tedesca ZDF sui luoghi gesualdiani (Ferrara, Napoli, Venosa, Arezzo, Gesualdo), che l’anno successivo valse al regista tedesco il prestigioso “Premio Italia” come migliore film per la televisione e il “Wide-screen” al Festival di Amsterdam, e nel 1997 il Prix pour le meilleur film pour la télèvision al “Festival International de film sur l’art” di Montreal. Resta invece un’utopia la realizzazione di un importante lungometraggio di fiction. La svolta sembrava vicina qualche anno fa, quando Bernardo Bertolucci annunciò il progetto di un kolossal, articolato su un lunghissimo arco temporale, dal Cinquecento fino alla celebre visita di Igor Stravinskij ai luoghi gesualdiani, nel 1956. Erano già pronti la sceneggiatura e l’intrigante titolo: Heaven and Hell (Paradiso e Inferno), ma le riprese non sono mai cominciate. Sembra quasi che la maledizione abbattutasi tanti secoli fa sulla casata dei Gesualdo gravi ancora come un macigno sui più ambiziosi tentativi artistici concepiti in Italia sulla figura del grande madrigalista. Che sia un film “maledetto”, più realisticamente, lo si deve ai budget insufficienti ed alla mancanza di sponsor illuminati nel cinema italiano d’oggi, che non è in grado di sostenere la produzione di un film in costume, con numerose location e interpreti di appeal internazionale, come richiede la ricca e complessa vicenda umana e artistica di Carlo Gesualdo. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Paolo Speranza Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Cozzolino, l’u... Articolo Successivo Giuseppe Bruno: “Con...