Di Valerio Massimo Miletti Luoghi, Territorio castelli, territorio, vocazione territoriale, xd magazine 6 marzo 2017 E’ difficile collocare nel tempo con esattezza la costruzione del castello di Gesualdo, e l’argomento è sempre stato oggetto di discussione tra gli studiosi. Il biografo locale Giacomo Catone, nelle sue “Memorie gesualdine”, afferma che bisogna farlo risalire al 650, in epoca longobarda, mentre un’altra tesi fissa la costruzione all’849, con la “divisio ducatus” tra Adelchi e Siconolfo, in difesa di alcuni territori annessi al principato di Benevento. In effetti, strategicamente ben posizionato, faceva parte, probabilmente, di un unico sistema di difesa ideato per tutta la zona, poiché, verso gli appennini Dauni, troviamo tanti altri castelli o fortezze, come Torella dei Lombardi, Rocca San Felice, Guardia dei Lombardi, S. Angelo dei Lombardi, Bisaccia. Comunque sia, nulla resta dell’originaria costruzione longobarda, mentre spiccano, invece, caratteristiche decisamente normanne. I castelli normanni, infatti, a differenza di quelli longobardi, che erano caratterizzati da ampi terrazzamenti aperti, presentavano, invece, ampi cortili interni sui quali si aprivano scuderie, cantine, granai, locali destinati alla manutenzione di carrozze ed alle abitazioni della servitù, su cui vi erano i piani nobili destinati a residenza. Anche il castello di Gesualdo non si sottrae a questa caratteristica di massima e si presenta di forma piuttosto regolare, a pianta rettangolare, con una corte centrale ed un pozzo al centro collegato ad una cisterna; torri cilindriche scarpate agli angoli, collegate tra loro da cortine murarie anch’esse scarpate; all’esterno, vi era il fossato ed il ponte levatoio. Il suo primo feudatario normanno fu Guglielmo d’Altavilla, nel 1078, detto il Bastardo, che ottenne la signoria di Gesualdo e a cui successe il figlio Elia I. Poi, dal 1198, la dominazione divenne sveva con Federico II e terminò nel 1266 con la morte di Manfredi, che significò il ritorno a Gesualdo di Elia II, grazie a Carlo I d’Angiò. In questo periodo il paese, oltre al castello, era difeso da un complicato sistema di torri e rivellini, che controllavano tutto il territorio. Il dominio della famiglia Gesualdo, comunque, fu piuttosto duraturo e proseguì nei secoli successivi, tranne un breve periodo. Infatti, in seguito alla partecipazione di alcuni membri della famiglia alla congiura dei Baroni, il paese fu assediato dalle truppe di Ferrante I d’Aragona nel 1460, ed il castello fu espugnato, saccheggiato ed in parte distrutto. Dopo pochi anni i Gesualdo ripresero il possesso del loro feudo e del castello, che fu ricostruito, e che circa un secolo dopo, ad opera di Carlo principe di Venosa, subì ancora importanti modifiche. Il principe – famoso madrigalista e autore di musica sacra – ricordiamo per la storia e per la cronaca, sposò nel 1586 la cugina Maria d’Avalos, appartenente ad una delle più nobili e potenti famiglie del Regno. Costei, però, donna bellissima e molto corteggiata, divenne amante del duca d’Andria Fabrizio Carafa, appartenente ad altra importantissima famiglia. Il principe, venuto a conoscenza dell’affronto, decise di farsi giustizia. Una sera dell’ottobre 1590, fingendo di allontanarsi per alcuni giorni per una battuta di caccia, fece ritorno poche ore dopo e irruppe con alcuni servi nella camera da letto di palazzo Sansevero, sua residenza napoletana, dove giacevano la moglie e il suo amante, uccidendo o facendoli uccidere entrambi. Il processo a suo carico, per delitto d’onore, fu archiviato per ordine del Viceré, ma Carlo, che tra l’altro era nipote di San Carlo Borromeo, per evitare la vendetta delle famiglie Carafa e d’Avalos, fuggì a Venosa e poi nel suo inaccessibile maniero di Gesualdo, roso dai sensi di colpa. Nel 1594 si recò a Ferrara, attirato dallo splendore della corte estense, dove conobbe e sposò Eleonora d’Este e, dopo Venezia, Padova e Firenze, nel 1595 fece ritorno in Irpinia e sentì il bisogno di modificare il suo castello. Fece eliminare il ponte levatoio, adibire i sotterranei a stamperia per le sue opere musicali, e modificare gli ambienti residenziali. Furono creati ampi e luminosi saloni per concerti e rappresentazioni teatrali, e sale adibite a studio del principe con grandi vetrate che davano sul cortile interno. L’edificio fu abbellito con velluti, damaschi, cuoi cordovani incisi in oro. Al piano superiore fu costruita una cappella di cui rimane la lunetta dov’è dipinta una Madonna col Bambino; un teatro, per la grandissima passione del principe per la musica, ed un balcone panoramico nella torre del suo appartamento. A lui si devono anche il nuovo portale d’ingresso a bugne in pietra bianca e il giardino pensile su due livelli, attaccato al castello. Di fronte all’ingresso, nel cortile interno, sullo studio, fece apporre l’iscrizione latina così tradotta: “Discendente dal nobilissimo Ruggero il Normanno Duca di Puglia e di Calabria, Carlo Gesualdo Conte di Conza, Principe di Venosa, eresse”. (Ruggero il Normanno è Ruggero Borsa, padre di Guglielmo il Bastardo). Nulla restò, quindi, dell’iniziale aspetto severo ed austero del castello fortificato medievale, bensì una residenza aristocratica con una corte rinascimentale, con tutte le caratteristiche architettoniche delle altre corti italiane, che ospitò nel 1601 persino il cardinale Alessandro d’Este, in visita alla sorella. Mentre avvenivano queste trasformazioni, la vita del principe, tuttavia, fu tutt’altro che felice: il figlio di secondo letto, Alfonsino, morì il 22 ottobre 1600 a soli cinque anni; la moglie Eleonora, prostrata per la morte del figlioletto, per motivi di salute, lasciò Gesualdo e tornò a Modena nel 1609; un nipotino, nato dal primo figlio Emanuele, morì a pochi mesi; lo stesso figlio Emanuele morì per una caduta da cavallo, lasciando la moglie incinta. Pertanto alla morte di questo sfortunato principe, nel 1613, la sua illustre casata si estinse ed il feudo andò a Niccolò Ludovisi, marito di sua nipote Isabella. Uno stemma dei Ludovisi, infatti, tuttora visibile, fu realizzato sotto la volta a crociera, all’ingresso del cortile. Il feudo con il castello furono poi venduti per 12.000 ducati, ad Isabella della Marra, moglie di Girolamo Gesualdo, marchese di Santo Stefano ed appartenente ad un ramo collaterale della famiglia. I suoi discendenti, insigniti anch’essi del titolo di principe da Filippo V, vendettero nella seconda metà del 1700, il feudo ai Caracciolo, principi di Torella, che lo tennero, ma non lo abitarono, fino all’abolizione delle leggi feudali. Nel contempo i frequenti terremoti, come quello del 1658, del 1732 e del 1805, danneggiavano in vario modo il castello, così come altri danni furono causati dall’arrivo delle truppe francesi nel 1799. In quella occasione fu fatta razzia di mobili, tappezzerie, suppellettili, arazzi e documenti vari di grande valore; fu saccheggiato il teatro e ne fu distrutto il pavimento ed il soffitto ligneo; fu asportato un grande mortaio in pietra dalle cucine, altrettanto devastate. Molto interessante – come riportato nell’avvincente pubblicazione di Orsola Tarantino Fraternali, per il Terebinto Edizioni – è un Inventario redatto nel 1630 e custodito nell’Archivio Segreto Vaticano, secondo cui il castello era composto da due piani, oltre al pianterreno e ai sotterranei e contava più di cento vani. L’inventario, inoltre, descrive anche com’era arredato il castello negli anni in cui vi abitò Carlo, con le suppellettili, le stoffe, i tessuti e addirittura i gioielli di famiglia. Solo nel primo salone si contavano ben 86 quadri, i ritratti dei re di Spagna, Carlo V e Filippo II, di san Carlo e addirittura un quadro del Caravaggio, detto “del Salvatore” ma senza precisare se fosse effettivamente firmato. Ebbene, dicevamo che il 1799 fu l’inizio di un periodo di degrado e di abbandono che, nel 1850, si interruppe perché il castello fu acquistato dalla famiglia Caccese, che avviò numerose modifiche e trasformazioni. Il teatro fu diviso in vari ambienti e destinato ad altro uso; furono aperti balconi su tutto il secondo piano e create nuove aperture verso l’esterno. Solo alcuni ambienti a pian terreno conservarono le antiche caratteristiche, mentre il resto fu quasi tutto ristrutturato senza badare all’antichità e all’importanza storica dell’edificio. I terremoti, periodicamente, continuarono a fare danni e l’ultimo, quello del 23 novembre 1980, dette il colpo di grazia al maniero che subì gravissimi danni, con il crollo di un’intera ala. Fu dichiarato inagibile e, sgomberato dai proprietari, non fu più abitato. Nel 2003 il Comune riuscì a portare a termine l’acquisto del 50% circa dell’immobile con fondi regionali e, dopo una prima messa in sicurezza e la realizzazione di alcuni interventi, ha completato il restauro nel corso degli anni. La Provincia, invece, ha acquisito l’altra metà, riuscendo, quindi, a portare al 100% la proprietà pubblica, ma non ad effettuare il restauro. Finalmente, dopo tanti anni, la comunità gesualdina ha recuperato un edificio così importante e significativo per il paese, davvero molto rappresentativo. E’ stato aperto al pubblico per la prima volta il 19 dicembre 2015, con un grande evento, di grande risonanza. Persino il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, volle dare un segno di approvazione, inviando un telegramma di auguri e congratulazioni. Ed anche il noto critico d’arte, Vittorio Sgarbi, ha avuto modo di visitare il castello e di dare delle indicazioni e suggerimenti sul miglior modo per valorizzarlo. Si spera quanto prima di poter vedere restaurata anche la parte della Provincia, ma c’è da dire che già quella completata è talmente grande, che si ha l’impressione di perdersi girando al suo interno, per sale e saloni. Attualmente viene usato in maniera saltuaria per eventi e manifestazioni, ma la sua destinazione finale dovrebbe essere la sede di un Centro europeo specializzato di cultura musicale dedicato, ovviamente, a Carlo Gesualdo, come ben prospettato e suggerito in un più ampio progetto da uno stimato architetto del luogo, già dagli anni ’90. (Vedi “Il castello a Gesualdo”, di Vincenzo Cogliano, Casa editrice Delta 3, 1999). Inoltre, l’associazione locale “Guido”, che si occupa di accoglienza turistica in genere, è a disposizione per visite guidate al castello, su richiesta, e pertanto è possibile in qualunque momento visitare ed ammirare in tutto il suo splendore uno dei castelli più belli, interessanti e carichi di storia della nostra Irpinia. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Valerio Massimo Miletti Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente I Favati: Rosanna Pe... Articolo Successivo Ariano, una città mu...