Di Lidia Caso Cultura, Ius & Lex 10 ottobre 2023 IL TEMA DELL’ETICHETTATURA DEI PRODOTTI ALIMENTARI COINVOLGE DIVERSE ASPETTI CON FINALITÀ CHE PERÒ INCIDONO SIGNIFICATIVAMENTE SULLE REGOLE DEL MERCATO. LA TUTELA DEL “MADE IN ITALY”, VÀ POSTA A CONFRONTO CON LA NORMATIVA SULLE “INFORMAZIONI ALIMENTARI” DI CUI AL REG. UE N. 1169/11. Tale provvedimento impone diversi obblighi e divieti che riguardano sia la questione dell’ origine che quella della provenienza dei prodotti alimentari; lo stesso regolamento impone infatti che l’indicazione relativa al “paese d’origine” o al “luogo di provenienza” di un alimento devono essere fornite ogni volta che la loro assenza possa indurre in errore i consumatori e non garantire condizioni eque di concorrenza per l’industria1. Il tema, è rilevante su più fronti: quello sanzionatorio (amministrativo e penale) afferente al controllo ufficiale dei beni giuridici di base, coinvolti nella questione dell’origine e quello della lealtà commerciale. Lo stesso art 517 c.p. (vendita di prodotti industriali con segni mendaci) fissa criteri di tutela dell’ordine economico al punto da comprendere la difesa del produttore da illecite forme concorrenziali, la libertà e la buona fede dell’acquirente2. Ciò comporta che, vendere o porre altrimenti in circolazione prodotti con segni mendaci, costituirebbe già una lesione effettiva della lealtà degli scambi commerciali (Cass. Pen. Sez. III, 15.1.2008, n. 2003). Per essere efficace il divieto di utilizzare informazioni “che possono indurre in errore il consumatore”, dovrà estendersi anche alla pubblicità e alla presentazione degli alimenti, dunque non solo alla “etichettatura”, intesa come qualunque menzione, indicazione, marchio di fabbrica o commerciale, immagine o simbolo che accompagna o si riferisce a tale alimento (così, art. 3, co. 2, lett. j, Reg. Ue n. 1169/11). Per inquadrare il tema dell’origine e della provenienza degli alimenti, in rapporto alla nuova disciplina del Reg. Ue n. 1169/11 utile è la pronuncia della Corte di Cassazione penale, III Sez., Sent. n. 19093 del 3.3.2013, che ha confermato la legittimità del “sequestro di confezioni di pistacchi di origine extraeuropea”, con un’etichetta recante in caratteri di grandi dimensioni “sfiziosità siciliane, pistacchi sgusciati” e in basso, in caratteri assai più minuti, scarsamente leggibili a occhio nudo, la indicazione “ingredienti: pistacchi sgusc. Medit.”, poiché l’etichetta di tali prodotti, è stata ritenuta idonea a generare la convinzione nel consumatore che, il prodotto venduto con tale etichetta fosse di provenienza siciliana. Da tale sentenza emergono due concetti fondamentali e di non trascurabile portate a cui legare il Reg. Ue n. 1169/11 ed è quello relativo all’origine e alla provenienza. Per origine si intende il “luogo geografico di produzione, che diviene senz’altro decisivo nell’accordo di vendita nel caso in cui il consumatore possa attribuire ad esso ragioni di particolare apprezzamento per le qualità o la bontà del prodotto”. Il paese di origine di un alimento, secondo il comma 3, art 2, Reg. Ue n. 1169/111, si riferisce all’origine di tale prodotto, come definita conformemente agli artt. da 23 a 26 del Reg. (CEE) n. 2913/92 (oggi Reg. Ue n. 952/2013). Per provenienza si intende il “luogo di lavorazione del prodotto” che, ai sensi dell’art. 2 lett. g) del Reg. Ue n. 1169/11, è invece “qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento, ma che non è il “paese d’origine” come individuato ai sensi degli artt. da 23 a 26 del Reg. (CEE) n. 2913/92 (oggi, Reg. Ue n. 952/2013); il nome, la ragione sociale o l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare apposto sull’etichetta non costituisce un’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza del prodotto alimentare ai sensi del presente regolamento”3. Secondo tale distinzione si è pronunciata ulteriormente la Cassazione penale, Sez. III, Sent. n. 13712 del 14/04/2005, che, ebbe, a qualificare l’origine quale locus (geografico) o “soggetto riferibile alla produzione, fabbricazione o coltivazione del prodotto”; e provenienza come luogo o soggetto che funge invece da “intermediario” tra produttore e acquirenti-consumatori. La questione del Made in Italy si concentra su una fattispecie speciale che richiama l’art. 16 comma 4 del D.L. 25.9.2009, n. 135, convertito con modificazioni nella L. n. 166 del 20.11.2009, il quale punisce – per il tramite dell’art. 517 c.p. e con pene aumentate di un terzo – chiunque faccia uso di un’indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale “100% made in Italy”, “100% Italia”, “tutto italiano”, in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto4. Sulla diversa natura sanzionatoria e, sulla rilevanza illecita delle condotte, si è pronunciato anche il Tribunale di Salerno, Sez. I Pen., Sent. n. 143 del 22.3.2010, a proposito della tutela del marchio statuendo che:– nell’ambito penale, rientrano tutti quei comportamenti che inducono il consumatore a ritenere erroneamente che la merce venduta sia prodotta in Italia, in presenza dell’utilizzo di espressioni ingannevoli, ovvero di simboli grafici che “producano il medesimo convincimento nell’utenza”.– nell’area di rilevanza amministrativa del fatto, invece, residua l’uso tout court del marchio che, pur in assenza di espressioni o simboli apparentemente rivelatori della presunta italianità del prodotto, “possa comunque ingenerare nel consumatore la fallace percezione, indotta dall’assenza di precise ed evidenti indicazioni al riguardo, che la merce, in realtà di provenienza straniera, sia stata realizzata in Italia”. Il Tribunale di Salerno, ri-propone delle argomentazioni dalle quali discendono la natura afflittiva penale o amministrativa, sulla scorta di un noto precedente giurisprudenziale (Cass. Pen. Sez. III del 17.2.2005, Acanfora) avente ad oggetto la differenza terminologica tra fallace, ciò che illude o inganna, e falso. Di sicuro per un efficace controllo sulle derrate alimentari “made in Italy”, potrà essere utile recuperare la “rintracciabilità”; rintracciabilità del prodotto che comporta proprio la ricostruzione del percorso nei rapporti in filiera (art 18). Questo al fine di garantire la “protezione della salute” e degli “interessi dei consumatori”. Al di là delle ipotesi criminose, la materia dell’etichettatura si compone anche di una disciplina nazionale, affidata in passato al d.lgs. n.109/92, e oggi in profonda rimodulazione, con la Circolare del MISE del 6.3.2015, sull’applicazione dell’articolo 18, in materia di sanzioni, del Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 109 in relazione alle violazioni delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011. Tale atto, muove dal criterio che le disposizioni punitive previste dall’art. 18 del D. Lgs. 109/1992, per la violazione delle disposizioni (nazionali) in esso contenute, “devono intendersi applicabili soltanto ai precetti confermati dal regolamento”. Le sanzioni amministrative previste dall’art. 18, secondo la Circolare, rimarranno applicabili alle violazioni delle disposizioni del D. Lgs. n. 109/92 (che restano in vigore) “in quanto riguardanti materie non espressamente armonizzate dal Regolamento, quali, ad esempio, il lotto o i prodotti non preconfezionati”. Con riguardo all’origine dei prodotti, (Made in Italy) il provvedimento del MISE ha previsto una sanzione specifica da euro 3.500,00 ad euro 18.000,00, nel caso di una violazione dell’art. 26, par. 2, lett. a) del Reg. Ue n. 1169/11, sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza “nel caso in cui la sua omissione possa indurre in errore il consumatore” e, in particolare, se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme “potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza”. Anche se in alcuni casi, tuttavia, l’etichettatura ingannevole è stata ritenuta elemento centrale anche per imputazioni quali l’art. 517 c.p. (vendita di prodotti con segni mendaci), aggravate ex art. 517 bis (per i prodotti a denominazione protetta)5. La considerazione del “rischio informativo” connesso alla salute del consumatore, legittima un’indagine che non può per ovvi motivi essere confinata all’etichettatura in sé, ma dovrà estendersi necessariamente alla possibile diversità delle condotte illecite imputabili all’operatore del settore alimentare; condotte che potranno inquadrarsi anche nella mera slealtà, conclamare una frode in commercio o riguardare, infine, il più grave caso (a cui si riferisce l’art. 14 del Reg. Ce n. 178/02) in cui l’operatore attenti anche in via potenziale la salute del consumatore con informazioni sanitarie o salutistiche specificamente scorrette e fuorvianti per il consumatore6. È innegabile che il Made in Italy richiama, tutta una serie di elementi valorizzanti i prodotti, primo tra tutti una precisa denominazione spaziale, che, viene percepita come uno stile di vita, capace di attribuire al prodotto caratteristiche, anche qualitative, peculiari7. Ecco perché i diversi interventi tendono ad attuare strumenti di tutela e controlli più serrati stante la rilevanza dei diritti da difendere. NOTE 1. 2. Fonte: https://www.ilmiocibo.it/media/approfondimenti/tutela-del-made-in-italy-e-disciplina-etichettatura-alimenti/ 3. 4. 5. 6. Fonte: https://www.ilmiocibo.it/media/approfondimenti/tutela-del-made-in-italy-e-disciplina-etichettatura-alimenti/ 7. Fonte:https://avvocatogentilini.it/la-tutela-del-made-in-italy-agroalimentare/ Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Lidia Caso Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Circe di Madeline Mi... Articolo Successivo METTI UNA SERA A TEA...