Di Lidia Caso Cultura, Ius & Lex cultura, ius&lex, xd magazine 2 dicembre 2017 La sentenza della Cassazione n. 11504/2017 rappresenta una vera rivoluzione in materia di assegno divorzile. Un lungo e travagliato percorso ha portato la Corte a sottolineare che i principi sostenuti negli anni precedenti non sono più attuali. Secondo la pronuncia, infatti, il rapporto matrimoniale con il divorzio si estingue definitivamente non solo per lo status di coniugi, ma anche per i rapporti patrimoniali. Viene meno quindi il dovere di assistenza sia morale che materiale. Con l’intervento la Suprema Corte ha cancellato quel dovere di solidarietà discendente dal matrimonio che, a suo tempo, veniva inteso come un obbligo perdurante anche dopo la fine del matrimonio. Questo «nuovo» principio ha comportato una rivisitazione totale dei criteri posti a base dei requisiti necessari per la concessione dell’assegno divorzile. Preliminarmente, il Giudice investito della causa di divorzio innanzitutto deve fare riferimento al principio dell’autoresponsabilità economica degli ex coniugi, quali persone singole; bisognerà valutare quindi se il richiedente è nell’impossibilità di procurarsi quanto gli necessita per ragioni oggettive. Sarà il principio «dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica» dell’ex coniuge a parametrare l’importo dell’assegno di divorzio, quale «natura assistenziale». Viene quindi superato il precedente orientamento che collegava la misura dell’assegno al parametro del «tenore di vita matrimoniale». Dopo quasi 27 anni, la Corte ha ritenuto che il parametro del tenore di vita goduto durante il matrimonio, non sia più un orientamento perseguibile; con il divorzio, infatti il rapporto matrimoniale si estingue sotto tutti i punti di vista e ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale. Secondo i Giudici, và individuato un «parametro diverso» nel «raggiungimento dell’indipendenza economica» di chi ha richiesto l’assegno divorzile: «Se è accertato che – si legge nella sentenza – è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto tale diritto». I principali indici che la Cassazione individua per valutare l’indipendenza economica di un ex coniuge sono il «possesso» di redditi e di patrimonio mobiliare e immobiliare, le «capacità e possibilità effettive» di lavoro personale e «la stabile disponibilità» di un’abitazione. Una sentenza rivoluzionaria, che, apre tuttavia una serie di problemi, perché tende a diminuire il contributo che il coniuge “forte” versa al coniuge “debole”. ( fonte: http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2017/05/10/ASeaUsLH-autosufficienza_cassazione_mantenimento.shtml). Il matrimonio, non è più visto come una “sistemazione” e, sposarsi, scrive la Corte, è un “atto di libertà e autoresponsabilità”, nonché luogo degli affetti e di comunione di vita. Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale. Per stabilire i criteri sottesi al riconoscimento dell’assegno, devono essere individuati degli indici che la Cassazione stabilisce quali elementi necessari per il suo riconoscimento. Il diritto all’assegno di divorzio era riconosciuto ai sensi dell’art. 5, Legge 898/70, in seguito all’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi economici del coniuge economicamente più debole per far fronte alle proprie esigenze. Il presupposto dell’attribuzione era la mancanza di mezzi economici da parte dell’altro coniuge o la difficoltà di procurarseli per ragioni oggettive. Solo in presenza della suddetta condizione si valutavano i seguenti parametri: le condizioni dei coniugi; le ragioni della decisione; il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio personale o comune durante il matrimonio; i redditi di entrambi; la durata del matrimonio. Il Giudice, precedentemente, riconosceva l’assegna seguendo due fasi: 1. verificava l’esistenza del diritto all’assegno in astratto, con riferimento all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, ponendoli in raffronto con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, o, che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio fissate al momento del divorzio, per poi determinare il quantum delle somme; 2 procedeva alla determinazione in concreto dell’assegno in base ad una valutazione equilibrata della somma considerata in astratto secondo la conservazione di vita assicurata dal matrimonio. Oggi la componente assistenziale che l’assegno divorzile poteva avere, perde la sua qualificazione e il suo riconoscimento in caso di “indipendenza o autosufficienza economica”. L’attribuzione dell’assegno seguono i Giudici investiti della questione sarebbe un illegittimo arricchimento perché fondato soltanto sull’esistenza di un rapporto matrimoniale ormai estinto. Si tratterebbe di un obbligo tendenzialmente senza termine, un’attribuzione vita natural durante. La Corte, citando la sentenza n. 11490 del 1990 che fu resa a sezioni unite, afferma che a distanza di quasi ventisette anni, il suddetto orientamento non è più ritenuto attuale. Due anni fa la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 11 dell’11 febbraio 2015, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze in relazione alla norma di cui all’art. 5 della legge sul divorzio in materia di riconoscimento di assegno divorzile. Il riconoscimento dell’assegno sarebbe in contrasto con l’art. 2 Cost., per “eccesso di solidarietà” perché viene imposto l’obbligo di far mantenere le stesse condizioni godute nel matrimonio al coniuge debole, ben oltre il matrimonio, anche per tutta la vita, e, con l’art 3 Cost., per “contraddizione logica” fra lo scopo del divorzio che è quello di fare cessare il matrimonio e i suoi effetti, e quello della previsione del mantenimento, che spinge molto lontano dal momento del matrimonio, il concetto di tenore di vita in costanza di matrimonio. La norma sarebbe stata in contrasto anche con l’art. 29 Cost. perché l’obbligo, così configurato, è anacronistico in relazione all’evoluzione sociale della famiglia, del ruolo dei coniugi e dell’incidenza dei divorzi. La Corte Costituzionale aveva ritenuto infondata la questione di legittimità perché il criterio del tenore di vita non è l’unico elemento ai fini della statuizione sull’assegno. La legge sul divorzio indica una serie di elementi che il giudice deve prendere in considerazione, quali la condizione e il reddito dei coniugi, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, la durata del matrimonio e le ragioni della decisione. La sentenza si era basata proprio sul costante orientamento della Cassazione, secondo il quale il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio rileva, per determinare in astratto il tetto massimo della misura dell’assegno, ma in concreto quel parametro deve essere successivamente bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso art. 5 (Cass. Civ. n. 2546/2014, Cass. Civ. n. 24252/2013 e Cass. Civ. n. 23797/2013) (Fonte: Altalex, 12 maggio 2017. Nota di Giuseppina Vassallo). Oggi con il nuovo intervento è meno scontato il riconoscimento del mensile perché subordinato solo alla mancanza di mezzi adeguati e all’impossibilità di procurarseli (articolo 5, comma 6, della legge 898/70), sganciandolo dal tenore di vita durante il matrimonio che, tra l’altro, la legge sul divorzio non cita. La Suprema Corte, stabilisce infatti che mentre il possesso di redditi e cespiti patrimoniali formeranno oggetto di prove documentali, la dimostrazione circa le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale formeranno oggetto di prova, che può essere data con ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l’onere del richiedente l’assegno di allegare specificamente e provare le concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell’indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative. ( fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/10/divorzio-cassazione-assegno-non-sara-piu-calcolato-su-tenore-di-vita-precedente-ma-sullautosufficienza/3576003/). Che i presupposti di mantenimento all’ex moglie dovessero subire dei cambiamenti era ovvio; questo sia in funzione del fatto che le famiglie si trovano ad affrontare problemi economici sempre più pesanti sia perché l’età lavorativa si è allungata, e i giudici hanno sposato un orientamento sempre meno garantista per l’ex coniuge che chiede l’assegno di mantenimento. In altri termini, l’assegno, non dovrà essere quantificato in modo tale da garantire al coniuge più debole il medesimo tenore di vita di cui godeva durante il matrimonio, cosa peraltro impossibile da realizzare visto che, con la separazione, i costi e le spese vive della famiglia raddoppiano (doppie utenze, doppio affitto, doppie tasse, ecc.). Il parametro quindi dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge si baserà sul reddito che quest’ultimo già ha o che è in grado di procurarsi sulla base della propria età, capacità di lavorare e formazione. Il che non è altro che la conseguenza dell’orientamento sposato, in questi ultimi anni, dai supremi giudici: ossia che non basta dimostrare la propria debolezza economica per ottenere l’assegno di mantenimento, ma anche di non essere in grado di mantenersi trovando un nuovo lavoro o per avere un’età avanzata ed essersi sempre dedicati alla famiglia. Il nuovo parametro è quello utilizzato già con i figli maggiorenni: la legge infatti dispone che «il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico». Il diritto dell’ex moglie da ottenere il mantenimento verrà quindi giudicato al pari del diritto dei figli. È del resto il principio di autoresponsabilità economica a governare l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno di mantenimento. Il semplice stato di disoccupazione, quindi, non rileva più per ottenere il mantenimento se risulta che il richiedente è comunque rimasto inerte e non ha fatto nulla per procurarsi un’occupazione. Ebbene, tale principio vale anche per il divorzio in quanto è frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l’accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi – irrilevante, sul piano giuridico, se consapevole o no – delle relative conseguenze economiche( fonte https://www.laleggepertutti.it/160875_assegno-di-mantenimento-allex-moglie-nuove-regole). Si sente spesso parlare di «mantenimento» con generico riferimento all’obbligo del coniuge con il reddito più alto (di norma il marito) di pagare un assegno periodico al coniuge più “povero” (di norma la moglie). In realtà, all’interno della generica figura del mantenimento si deve distinguere tra «assegno di mantenimento» con riferimento alla somma che viene erogata con la separazione e fino al divorzio, e «assegno divorzile» (o «assegno di divorzio») con riferimento invece alla somma da corrispondere dopo il divorzio. Anche se apparentemente i due istituti sembrano presentare gli stessi requisiti e caratteristiche non è così. In termini pratici, l’assegno di mantenimento può essere molto più elevato di quello divorzile. La separazione è una fase intermedia, necessaria per poter successivamente divorziare e comporta solo una sospensione dei doveri “personali” del matrimonio quali quello di convivenza, di fedeltà e di collaborazione. Non si sospendono invece i doveri di natura economica, quale quello di mantenere il coniuge. Il divorzio come detto invece recide tutti i rapporti tra i coniugi compresi ora anche quelli economici secondo i criteri innanzi spiegati. L’assegno di mantenimento mira a mantenere, in favore del coniuge più debole economicamente, lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio; l’assegno di divorzio, invece, ha solo lo scopo di garantire all’ex coniuge più debole economicamente il necessario per vivere ed essere autosufficiente (almeno finché non lo potrà essere con le proprie gambe). In sintesi, la principale differenza tra l’assegno di mantenimento e l’assegno di divorzio sta in questo: il primo è misurato in modo da garantire «lo stesso tenore di vita» che la coppia aveva quando ancora stava insieme; il secondo invece è improntato al criterio di autosufficienza economica ( fonte https://www.laleggepertutti.it/161485_differenza-tra-assegno-di-mantenimento-e-di-divorzio). Tutto più difficile, per chi vorrà l’assegno e probabilmente, separazioni e divorzi troveranno forse una soluzione più pacifica. 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