Di Lidia Caso Cultura, Ius & Lex 16 dicembre 2019 Il fenomeno del Cyberbullismo è stato definito grazie alla legge 71/17 entrata in vigore il 18 giugno 2017. Il termine Cyberbullismo (o anche bullismo di internet) si presenta con tutta una serie di atteggiamenti e manifestazioni vessatorie con l’intento di approfittare della debolezza della vittima; ciò che cambia dal bullismo è l’amplificazione del messaggio per effetto delle tecnologie odierne utilizzate; gli ambienti e gli autori che si muovono in assoluto anonimato. Si tratta di comportamenti in alcuni casi violenti esercitati in rete che sfociano spesso nelle minacce, ingiurie e nella diffamazione (definizione data dall’avvocato AnnaLivia Pennetta, nel libro “La responsabilità giuridica per atti di bullismo” – Fonte https://intreccio.eu/cyberbullismo/). A causa dell’esponenziale crescita di internet e dei social network, il fenomeno del cyberbullismo è in aumento; oramai l’uso che i giovani fanno della rete per condividere ogni tipo di immagini, testi, video al fine di trasportare ogni istante della loro vita quotidiana in queste modalità di comunicazione è spropositato. Accanto all’autore, e quindi al materiale esecutore che compie l’atto di cyberbullismo, troviamo coloro che ne subiscono il comportamento e gli osservatori in maniera più o meno passivi. Esistono due forme di cyberbullismo: e-bullying diretto che consiste nell’uso di Internet per inviare messaggi minacciosi alla vittima; e-bullying indiretto che consiste nel diffondere messaggi dannosi o calunnie sul conto della vittima. E’ importante riflettere sul fatto che dietro ad ogni atto di cyberbullismo ci sono ragazzi, adolescenti e a volte bambini, che, da una parte sono vittime e subiscono tali tipi di atteggiamenti dall’altra autori, ravvisandosi in entrambi casi, fenomeni preoccupanti di difficoltà di relazione con il mondo esterno che portano i ragazzi a rimane imprigionati e trovare mediante il computer il modo di esprimere le proprie difficoltà. La problematica oramai è molto conosciuta essendo la scuola intervenuta in tal senso con diversi progetti scolastici per spiegare le difficoltà che vengono vissute dai giovani. Lo stesso Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, ha presentato, il 2 novembre 2016, un documento con lo scopo di tutelare il minore ad un uso prudente del web. Oltre a tale documento importante è il testo della “Dichiarazione dei diritti di internet” con il quale si garantiscono e riconoscono i diritti dell’uomo anche nella piattaforma informatica. All’art. 3, si legge che “l’uso consapevole di Internet è fondamentale garanzia per lo sviluppo di uguali possibilità di crescita individuale e collettiva, il riequilibrio democratico delle differenze di potere sulla rete tra attori economici, istituzioni e cittadini, la prevenzione delle discriminazioni e dei comportamenti a rischio e di quelli lesivi delle libertà altrui”. Con ben 7 articoli, contenuti nel provvedimento legislativo, emanato il 29 maggio 2017, il Parlamento ha inteso intervenire nella problematica. La giurisprudenza e le norme ricavabile dal codice penale hanno sopperito alla mancanza di una legge al riguardo applicando ai soggetti attivi di reato le condanne per le condotte poste in essere. Con la Legge 107 del 2017, la cosiddetta legge sulla Buona Scuola, la tematica del cyberbullismo è stata intesa anche nel raggiungimento della formazione scolastica in tal senso. All’articolo 1, comma 7, lettera l, della predetta legge sono individuati la “prevenzione e contrasto della dispersione scolastica, di ogni forma di discriminazione del bullismo, anche informatico”. Dal testo, è palese la volontà del legislatore di combattere ogni comportamento che possa riferirsi al bullismo e di eliminare ogni sorta di discriminazione tra i banchi di scuola. Al comma 1 del medesimo articolo, vengono chiarite le finalità della legge. E’ evidente che se lo scopo della legge è anche quello di porre in essere un’attività preventiva è necessaria “attenzione, tutela ed educazione” nei confronti sia della vittima che del responsabile di illeciti “assicurando l’attuazione degli interventi senza distinzione di età”. Al comma 4 dell’articolo 3, vengono stabilite le iniziative di informazione che, oltre all’Istituto scolastico, devono raggiungere più persone possibili cercando un coinvolgimento dell’intera collettività. In continuità con il testo di legge accennato, il Ministero dell’istruzione e della ricerca aveva già emanato le “linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo” che anticipava, nella forma e nel contenuto, la legge del 2017 numero 71. Al comma 2, il legislatore fornisce un’ampia definizione di cyberbullismo. Con questa espressione si intende “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”. Come detto innanzi con il cyberbullismo potrebbero configurarsi svariati reati disciplinati dal Codice penale oltre alle violazioni di norme contenute nel Codice Civile tra i quali l’art 2043 in tema di risarcimento per fatto illecito. Con tale norma la vittima potrà infatti chiedere il risarcimento del danno ingiusto subito con riferimento alla sua persona e/o alle proprie cose (previo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria). In tal senso interessante è stato l’intervento della Corte di Cassazione Civile n. 531/2014 secondo la quale: “… le espressioni “danno esistenziale”, “danno biologico” e “danno morale” non esprimono distinte categorie di danno, tantomeno l’uno può considerarsi una sottocategoria dell’altro, trattandosi, piuttosto di locuzioni meramente descrittive dell’unica categoria di danno, che è quella del danno non patrimoniale, da identificarsi nel danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.” Da ciò si desume che per il riconoscimento del risarcimento avente carattere omnicomprensivo del danno non patrimoniale è necessario valutare se tale danno, nella fattispecie concreta, presenti o meno tali aspetti. Oltre al 2043 c.c. si richiama l’applicabilità dell’art 2046 c.c. rubricato “Imputabilità del fatto dannoso” ove si stabilisce che: “Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d’intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa” (la lettura di tale norma evidenzia come qualunque persona che sia capace di intendere e di volere, anche minorenne, è responsabile per i comportamenti dannosi compiuti, nel caso de quo per atti di cyberbullismo, anche se da un punto di vista patrimoniale ne risponderanno i genitori) nonché l’applicabilità anche dell’art 2048 c.c, rubricato “Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte” ove viene stabilito che: “Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela che abitano con essi.… Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.” La Cassazione più volte ha affermato la responsabilità per “culpa in educando” ex art. 2048 c.c. dei genitori degli autori dei fatti illeciti poiché “tali condotte lesive di interessi attinenti la sfera della persona, costituzionalmente rilevanti e protetti dall’art. 2 della Costituzione, quali il diritto alla riservatezza, alla reputazione, all’onore, all’immagine, comportano l’obbligo per i genitori dei cyberbulli (sul presupposto del loro mancato assolvimento dei propri obblighi educativi e di controllo sui figli) di risarcire i danni non patrimoniali conseguiti dalla vittima e dai suoi familiari”. In alcune Sentenze si parla addirittura “di inadempimento dei doveri di educazione e di formazione della personalità del minore, in termini tali da impedirne l’equilibrato sviluppo psico-emotivo, la capacità di dominare gli istinti, il rispetto degli altri e tutto ciò in cui si estrinseca la maturità personale”. Potrà quindi ricorrere a seconda dei casi anche una responsabilità dei genitori personale ed oggettiva per culpa in vigilando, per violazione dei doveri relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale ex art. 147 c.c. (il D. Lgs. 154/2913 ha abrogato la locuzione “potestà” genitoriale sostituendola con il termine “responsabilità” genitoriale ovunque presente nel codice civile); con la conseguenza che sarà il genitore ai fini probatori a dover fornire la prova in senso positivo, ossia aver fornito una buona educazione in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del figlio minore, come sostenuto dalla giurisprudenza maggioritaria. La responsabilità dei genitori ricorre anche nell’ipotesi in cui un genitore non coabiti con il figlio se viene dimostrata la carenza di educazione come nei casi di genitori separati ove la responsabilità sarà addebitata ad entrambi. Un accenno infine deve essere fatto all’art. 28 Cost. ove si legge testualmente che: “I funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazioni di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato ed agli altri enti pubblici” e all’ 2048, 2° comma c.c. che prevede che: “I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’ arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza” al quale si collega la culpa in vigilanza della scuola responsabile nei casi in cui l’evento si sia verificato durante l’orario scolastico; anche in questi casi la responsabilità potrà essere superata previa dimostrazione del caso fortuito o della diligenza nella vigilanza posta in essere dall’istituto scolastico. Nulla ancora di specifico è stato chiarito per la colpa in vigilanza dell’internet Provider; la Cassazione ha di fatto escluso il dovere generale di sorveglianza e di controllo in capo al gestore, nonostante l’ esistenza di specifici obblighi giuridici in favore dei propri iscritti. Dal quadro normativo sommariamente richiamato è evidente l’importanza e l’interesse da porre in essere nei casi di cyberbullismo; è chiaro che l’introduzione di una normativa in tal senso coordinata da specifiche attività formative nasce dall’esigenza di creare un percorso di partecipazione tra i giovani, gli Istituti scolastici e l’ambiente familiare al fine di prevenire tali tipi di comportamento. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Lidia Caso Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente CORTO E A CAPO Festi... Articolo Successivo L’antica arte presep...