Di Marcello Curzio Storia, Territorio cultura, storia, territorio, vocazione territoriale, xd magazine 24 febbraio 2017 Chi era Antonio Cozzolino ? E cosa ci faceva un ex scalpellino di Boscotrecase sui pendii del colle di Calatafimi, in Sicilia, mentre i “mille” di Garibaldi sciamavano praticamente indisturbati sull’isola? A queste e ad altre domande risponde il giornalista Gabriele Scarpa, inviato speciale nel tempo, nell’intervista impossibile con il brigante “Pilone”. Il racconto scorre nelle pagine de “L’ultimo brigante del Sud”, edito, un paio di anni fa, da Spazio Creativo Edizioni per la collana “Visto da Sud. Autentica leggenda del Vesuviano, detto “Pilone” per la sua folta barba, Cozzolino combatté nell’armata del Regno delle Due Sicilie, dove raggiunse i gradi di sergente dei Cacciatori. A Calatafimi riuscì a strappare il drappo alle truppe garibaldine, prima di essere costretto a battere in ritirata con il resto della truppa per l’atteggiamento troppo arrendevole assunto dai suoi superiori. Ma “Pilone, fu soprattutto uno degli ultimi briganti ad arrendersi alle truppe piemontesi che gli diedero la caccia per oltre dieci anni, tentando di stanarlo sui pendii del vulcano più famoso del mondo, luogo in cui l’ex sottufficiale di re Francesco aveva stabilito il suo quartier generale. Alla fine, tradito da un compagno e abbandonato dalla camorra, cadde in un tranello che gli fu teso in via Foria, a Napoli, e lì cadde, trafito a colpi di pugnale a pochi passi dall’Orto Botanico. L’ultimo brigante del Sud ricostruisce le imprese temerarie di Antonio Cozzolino e quelle della sua banda: delitti e tradimenti che si consumarono all’ombra del Vesuvio nell’ambito della guerriglia ingaggiata tra i fedelissimi dei Borbone e le truppe di “occupazione” piemontesi. Una vera e propria guerra, per certi versi simile a quella combattuta in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, tra i partigiani della Resistenza, i repubblichini di Salò e i loro alleati tedeschi. Un conflitto sanguinoso e violento esploso all’indomani dell’unità d’Italia nei territori dell’ex Regno delle Due Sicilie tra i “resistenti” borbonici e i sostenitori di casa Savoia. Si diceva che Pilone fosse un brigante devoto, perché in tutte le battaglie non abbandonava mai il suo piccolo sacchetto di stoffa contenente un’ immagine di San Ciro. Il 14 ottobre 1870, a Napoli, un traditore portò Pilone in un cerchio di almeno 15 poliziotti che vestiti in borghese e mischiati con la folla avevano occupato, sotto la regia del delegato Petrillo, un lungo tratto di strada tra l’Albergo dei Poveri e l’ Orto Botanico. Pilone, accompagnato forse dal suo giuda, scendeva dal Museo a passo lento, per la zoppia. Indossava una giacca di velluto, pantaloni di tela a righe, una cravatta viola, e un panciotto nero, che teneva aperto, “come costumano i contadini”, scrisse un cronista. Calzava un cappello bianco e gli occhiali azzurri rendevano più gentile “il profilo regolare e piuttosto bello” del volto. Un attimo prima di entrare nel cerchio, il giuda si allontanò. Pilone capì, ma gli era già alle spalle l’appuntato Generoso Zicchelli: premendogli le costole con la punta del pugnale e con la canna del revolver, lo dichiarò in arresto. Pilone si girò o parve all’appuntato che volesse girarsi per estrarre un’arma dal panciotto: ma poi si vide che non era armato. L’appuntato gli piantò il pugnale nel petto. Pilone crollò a terra e da terra cercò di parare i colpi che Zicchelli e un collega gli vibravano con furia in faccia e nello stomaco. Il brigante ebbe ancora la forza di accovacciarsi nella pozza del suo sangue, come per difendere il volto dalle lame; intanto i poliziotti gridavano alla folla agitata e minacciosa di star calma: siamo della Questura, quest’ uomo è Pilone. Infine lo caricarono su una carrozzella: dalla gola gli uscì un ultimo rantolo. Pilone morì prima che la carrozzella entrasse nel cortile della Questura. Il prefetto telegrafò immediatamente un dispaccio al Sottoprefetto di Castellammare, e il Sottoprefetto immediatamente lo trasmise ai Sindaci di Ottajano, Gragnano, Pimonte, Lettere, Agerola e Castellammare “con la preghiera di dare la maggiore possibile pubblicità alla buona notizia contenuta nel dispaccio”. Pochi giorni dopo l’ex deputato Cortese si presentò in Prefettura per comunicare che Salvatore Giordano, di Boscotrecase, aveva diritto alla taglia di lire 1500: 1000 promesse dal Comune di Ottajano, 500 dal Comune di Boscoreale. Dopo l’invasione di Terzigno, Antonio Cozzolino Pilone si vesti da Robin Hood del Vesuvio. Chiese danaro ai ricchi proprietari, fece rapide incursioni nel territorio di Sarno e sui monti Lattari, tolse alla camorra vesuviana il controllo delle “trafiche“, cioè del commercio delle partite di uva, sequestrò un Magliulo di Torre del Greco, lo liberò per 1500 ducati, e infine, il 30 gennaio del 1863, rapì il marchese Michele Avitabile, Presidente del Consiglio di Amministrazione del Banco di Napoli. Chiese un riscatto di 20000 ducati, si accontentò di 9000. Il questore di Napoli, Nicola Amore, dichiarò che si era superato il limite estremo della decenza e pretese che si facesse terra bruciata intorno al brigante. Carabinieri e soldati smantellarono la banda di Pilone, che però riuscì a sfuggire alla cattura: una barca da pesca lo portò sulle coste del Lazio. Nell’inverno del ’67 Pilone ritornò sul Vesuvio. Dei suoi, non ritrovò nessuno: alcuni erano morti, altri stavano in carcere. Qualcuno finse di non ricordarsi di lui. Per due anni Pilone si sottrasse alla caccia di soldati e poliziotti, irridendoli e esasperandoli: le sue improvvise apparizioni notturne nelle selve del Vesuvio, la zoppia, l’astuzia e l’ ammirazione che per lui nutriva “il popolo minuto“ ne fecero un personaggio leggendario. Ma i capi della camorra vesuviana non potevano più consentire che, per colpa di uno solo, le forze dell’ordine mettessero il territorio in stato d’assedio, bloccassero tutti i traffici e disseminassero spie in ogni caffé tra Napoli e Torre. Bisognava ammazzare Pilone, non catturarlo. Era necessario evitare il clamore di un processo e il rischio che egli si pentisse e “cantasse“: su questo punto furono tutti d’accordo: camorristi e “galantuomini“. Proprio ciò che accadde nella centralissima via Foria a Napoli il 14 ottobre 1870. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Marcello Curzio Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente L’arte della cartape... 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