Di Lidia Caso Cultura, Ius & Lex cultura, vocazione territoriale, xd magazine 22 aprile 2017 Il Decreto Legge 193/2016 con le misure fiscali urgenti e collegato alla Legge di stabilità 2017, ha previsto la possibilità per qualsiasi contribuente (sia persona fisica, che società) di definire in via agevolata le somme iscritte a ruolo e oggetto di recupero da parte degli Agenti della riscossione nel periodo compreso tra il 1/01/2000 ed il 31/12/2016. Con l’adesione il contribuente può pagare solo le somme iscritte a ruolo a titolo di capitale, di interessi legali e di remunerazione del servizio di riscossione; non saranno dovute le sanzioni, gli interessi di mora e le somme aggiuntive gravanti su crediti previdenziali. Per il contribuente è possibile pagare l’importo determinato dilazionandolo in 5 rate sulle quali sarà applicata una percentuale di interesse secondo le modalità e la scadenza dei pagamenti.( fonte https://www.fiscoetasse.com/rottamazione-cartelle-esattoriali) Il condono Equitalia 2017, è quindi una nuova misura della Legge di Stabilità 2017 che prevede una sanatoria, o meglio, una rottamazione delle cartelle emesse entro il 31 dicembre 2016. Mediante questa definizione i contribuenti, le famiglie, le società, le imprese e i professionisti, hanno la possibilità di cancellare i propri debiti, pagando la cartella di pagamento senza interessi, sanzioni e more, fatta eccezione per le multe stradali che fruiscono solo della sanatoria sugli interessi e maggiorazioni infatti oltre all’importo di base, il debitore dovrà pagare l’aggio della riscossione e le eventuali spese di esecuzione e notifica della cartella. Tale nuova modalità di definizione dei pagamenti è diversa da quella inserita nel disegno di legge Ddl Rottamazione dei ruoli Equitalia, il cui testo era al vaglio della 6a Commissione permanente Finanza e tesoro del Senato. Il condono Equitalia, pertanto ben diverso dalla rottamazione dei ruoli che è orientata ai contribuenti più disagiati, riguarda tutti i contribuenti, tutte le vecchie cartelle di pagamento Equitalia emesse entro il 31 dicembre 2016, i tributi emessi dell’Agenzia delle entrate ossia contributi Inps e Inail, Enti locali, etc, le multe stradali per le violazioni del Codice Stradale ma solo per la parte interessi e maggiorazioni, IVA al consumo. Non potranno essere condonate le cartelle esattoriali per Iva sull’importazione, le multe derivanti da pronunce di condanna della Corte dei conti, le multe (come innanzi specificato), ammende e sanzioni dovute a seguito di provvedimenti o sentenze penali di condanna. Attraverso il condono Equitalia, tutti i contribuenti hanno quindi la possibilità di sanare il proprio debito, cancellare i debiti Equitalia, pagando le vecchie cartelle senza sanzioni ed interessi (sarà sempre dovuto l’aggio calcolato sul capitale). In altre parole, grazie al condono, i beneficiari della rottamazione cartelle, possono ottenere così un considerevole sconto sull’importo della cartella di pagamento, un risparmio che secondo i primi calcoli dovrebbe attestarsi sul 30-40%; percentuale che ovviamente dipenderà dal tipo di sanzione applicata dall’imposta omessa e da quanto è vecchia la cartella. Il piano di rientro, e quindi la proposta di rateazione a stralcio a seconda del grado di difficoltà finanziaria del contribuente, può essere di due tipi: 1) Rateazione a stralcio per i contribuenti in grave difficoltà e il piano prevede: pagamento totale dell’Iva dovuta; pagamento totale dei contributi eventualmente dovuti; pagamento del 75% dei tributi(per cui stralcio del 25% dei tributi stessi); stralcio totale delle sanzioni; degli interessi e dell’aggio di riscossione; 2) Medesimo piano di rientro per i contribuenti in gravi difficoltà con lo stralcio totale delle sanzioni, interessi e aggio con differenza in percentuale dei tributi che sarà limitato al 5% anziché del 25%( Fonte: http://www.guidafisco.it/condono-equitalia-sanatoria-rottamazione-cartelle-1589).Questo importante beneficio fiscale ha condizionato il legislatore a disciplinare anche le conseguenze processuali richiedendo al debitore l’impegno a rinunciare ai giudizi in corso. Vediamo quali sono le conseguenze che potrebbero verificarsi a seconda dei gradi e stati di giudizio in cui si trova il contribuente. Per il giudizio Tributario nella domanda il debitore deve assumere il semplice impegno a rinunciare alla causa tributaria, ma questo non lo vincola perché può sempre venir meno al suddetto impegno, prima della pronuncia del Giudice (art. 44 D.Lgs. n. 546/1992) se si accorge che la rottamazione non è conveniente, soprattutto dal punto di vista processuale e finanziario. In tale processo, la rinuncia al ricorso è specificatamente disciplinata dall’art. 44 D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992, come ultimamente modificato dall’art. 9, comma 1, lett. p), D.Lgs. n. 156 del 24/09/2015. Il processo si estingue per rinuncia totale al ricorso; il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo; l’eventuale liquidazione delle spese è fatta dal presidente della sezione o dalla commissione con ordinanza non impugnabile; avverso tale provvedimento è, in ogni caso, ammesso il ricorso straordinario per Cassazione, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione; la rinuncia non produce effetti se non è accettata dalle sole parti costituite, che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo; la rinuncia e l’accettazione, ove necessarie, devono essere sottoscritte dalle parti personalmente o da loro procuratori speciali, nonché, se vi sono, dai rispettivi difensori e si devono depositare nella segreteria della commissione tributaria (Fonte: http://www.guidafisco.it/condono-equitalia-sanatoria-rottamazione-cartelle-1589). E’ ammissibile la dichiarazione di rinuncia effettuata, anziché in forma scritta, nella forma della dichiarazione “a verbale” durante l’udienza, trattandosi di un atto pubblico. In caso di rinuncia, quindi, si hanno due distinti provvedimenti, uno che determina l’estinzione totale del processo e l’altro che eventualmente dispone sulle spese. In conseguenza dell’estinzione per rinuncia l’atto impugnato diventa definitivo in primo grado; nei gradi successivi, passa in giudicato la sentenza impugnata; la rinuncia in sede di giudizio di rinvio, dopo una pronuncia della Cassazione, travolge tutte le sentenze rese nel processo, ai sensi dell’art. 63 D.Lgs. n. 546 citato. La rinuncia al ricorso (art. 44 D.Lgs. n. 546 cit.) si differenzia processualmente dalla cessazione della materia del contendere (art. 46 D.Lgs. n. 546 cit.), che estingue, in tutto o in parte, il processo. Infatti, come più volte chiarito e precisato dalla Corte di Cassazione all’emanazione di una sentenza di cessazione della materia del contendere (C.M.C.) consegue, da un lato, la caducazione della sentenza impugnata, a differenza della rinuncia al ricorso, che ne determina, invece, il passaggio in giudicato, e dall’altro l’assoluta inidoneità della sentenza di C.M.C. ad acquisire efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio. Le suddette differenze processuali comportano che mentre in caso di rinuncia al ricorso il processo si estingue integralmente (art. 44, comma 1, cit.), l’estinzione del giudizio per C.M.C. può essere totale o parziale (art. 46, comma 1, cit.).In definitiva, la distinzione ha profonde radici di ordine sistematico e la previsione di un’apposita disciplina dell’estinzione del giudizio per C.M.C. costituisce una vera e propria peculiarità nel panorama legislativo, non trovando, infatti, riscontro nel codice di procedura civile e neppure nel codice del processo amministrativo ( Fonte: http://www.unipa.it/riviste/osservatorioTributario/.content/documenti/documenti-news-osservatorio/2017-02-06-Rottamazione-delle-cartelle-e-processo-tributario-Villani.pdf). La conciliazione giudiziale, disciplinata dagli artt. 48, 48-bis e 48-ter D.Lgs. n. 546, ha subito a seguito del D.Lgs. n. 156/2005 cit delle sostanziali ed importanti modifiche. Mentre la rinuncia risulta da una duplice dichiarazione unilaterale, avente un contenuto non negoziale (nel senso che produce effetti predeterminati e limitati al piano processuale), nel caso della conciliazione giudiziale le parti raggiungono un accordo, totale o parziale, sul piano sostanziale. Proprio per questo, a differenza della rinuncia, anche la conciliazione giudiziale determina l’estinzione, totale o parziale, del giudizio per C.M.C. (artt. 48, comma 2, e 48-bis, comma 4, citati) e per questo il contribuente dovrà valutare se conviene la rottamazione, con le conseguenze processuali della rinuncia, o la conciliazione giudiziale. Inoltre, il contribuente deve valutare la convenienza della rottamazione, con i relativi rischi processuali, anche rispetto alle recenti sentenze della Corte di Cassazione, come per esempio quella sulla prescrizione quinquennale delle cartelle esattoriali. La rinuncia deve essere incondizionata, chiara ed univoca. In caso contrario, la stessa è inefficace. La rinuncia per essere efficace deve essere priva di condizioni e senza riserve. L’art. 44, comma 3, cit. stabilisce testualmente: “La rinuncia non produce effetti se non è accettata dalle parti costituite che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo”. In sostanza, deve trattarsi di un’accettazione necessaria, come ribadito dall’art. 44, comma 5, cit. La giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, ha stabilito che l’accettazione della rinuncia è richiesta soltanto nel caso in cui la parte, nei cui confronti la rinuncia è fatta, abbia effettivo interesse alla prosecuzione del processo. Tale interesse, che deve concretarsi nella possibilità di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile, sussiste allorquando il convenuto abbia chiesto una pronuncia nel merito ovvero abbia, a sua volta, posto una domanda riconvenzionale. In materia tributaria, in linea di massima, non è necessaria l’accettazione dell’ufficio fiscale quando, come abbiamo chiarito in precedenza, la rinuncia del debitore rende definitivo l’atto impugnato o la sentenza favorevole all’ufficio stesso. In ogni caso, non occorre il consenso delle parti non costituite, per cui il processo si estingue automaticamente. Nella rottamazione, proprio perché l’ufficio fiscale è rimasto estraneo alla procedura amministrativa, pur essendo parte processuale principale, è sempre consigliabile accordarsi con l’ufficio per quanto riguarda la compensazione delle spese, soprattutto perché si tratta di una definizione agevolata consentita dalla legge. Per evitare il rischio delle spese processuali si potrebbe presentare un’istanza congiunta in cui la controparte aderisce alla richiesta di compensazione delle spese. La rinuncia al ricorso per Cassazione invece, ritualmente notificato alle controparti, non richiede l’accettazione necessaria perché la rinuncia, alla stregua degli artt. 390 e 391 c.p.c., comporta, diversamente da quanto previsto dall’art. 306 c.p.c., l’estinzione del procedimento indipendentemente dalla notificazione o comunicazione, prescritte solo al fine di sollecitare l’adesione della controparte alla rinuncia e di prevenire, quindi, alla radice la condanna alle spese della parte rinunciante. La rinuncia non può essere parziale questo perché non si può pensare di confrontarsi prima con l’agente della riscossione, considerando che l’ufficio fiscale è estraneo a tutta l’operazione della rottamazione e decidere quali cartelle rottamare e quali no. Nei giudizi di appello il contribuente deve sapere che la rinuncia all’appello (totale o parziale) determina il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado; quindi, la rottamazione delle sanzioni e degli interessi di mora e di dilazione (art. 68 D.Lgs. n. 546 cit.) deve essere fatta se è conveniente dal punto di vista giuridico, perché ci sono poche speranze di successo in appello, e dal punto di vista finanziario, perché costa di meno rispetto all’eventuale conciliazione giudiziale, oggi finalmente prevista anche in fase di appello (art. 48-ter, comma 1, D.Lgs. n. 546 cit.). Bisogna appunto far presente che mentre un contribuente che non ha fatto ricorso o appello può beneficiare della rottamazione, lo stesso non può fare un contribuente vittorioso in primo o secondo grado, che è costretto a proseguire il contenzioso con rilevanti spese e con la preoccupazione di dover pagare, in caso di esito negativo del giudizio, l’intero importo accertato (imposta, sanzioni ed interessi), più l’eventuale condanna alle spese di giudizio (soprattutto dopo le modifiche apportate all’art. 15 D.Lgs. n. 546 cit.). Per evitare queste ingiustificate disparità di trattamento sarebbe forse opportuno prevedere una definizione delle liti pendenti. Nei giudizi in cassazione bisogna distinguere due fasi: quando il giudizio è pendente la rottamazione determina il passaggio in giudicato della sentenza di appello sfavorevole al contribuente; in caso di cassazione con rinvio (art. 383 c.p.c.) e pendente il termine per la riassunzione, l’eventuale rottamazione determina l’estinzione dell’intero processo (art. 63, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit.) e, di conseguenza, diventa definitivo l’atto iniziale impugnato (per esempio, avviso di accertamento o cartella esattoriale) ( fonte integrale: www.commercialistatelematico.com/articoli/2017/01/rottamazione-delle-cartelle-e-gravi-conseguenze-processuali-attenzione-a-tutte-le-trappole.html). Come sommariamente riassunto, la rottamazione sebbene rimedio efficace non sempre è a vantaggio del contribuente considerando le diverse conseguenze anche in termini di condanna alle spese di giudizio che lo stesso potrebbe incontrare. 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