Di Marcello Curzio Storia, Territorio Irpinia, storia, territorio, vocazione territoriale, xd magazine 5 dicembre 2017 Il 25 aprile del 1861, Carlo Melegari, bersagliere di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, fu promosso Maggiore e prese il comando del 18° battaglione di stanza a Borgo San Donnino. Dopo due mesi di dure esercitazioni in montagna, il neo promosso maggiore ebbe ordine dal Comando della Divisione di Piacenza di partire per Napoli agli ordini del Generale Cialdini. Era il 3 agosto ed il caldo soffocante fiaccava le forze della truppa. Cialdini per mantenere in forma i suoi soldati, li spedí sulle Mainarde a conoscere il terreno e a riparare i fili del telegrafo che i partigiani sudisti avevano distrutto. L’11 agosto il maggiore Melegari ricevette l’ordine tassativo di rientrare immediatamente in Napoli con il suo battaglione. I giornali riportavano la notizia della rivolta contadina di Pontelandolfo e Casalduni; poiché ormai la stampa era solo filogovemativa, la notizia venne artatamente data dalle redazioni della Luogotenenza. Il Cialdini era consapevole che bisognava ubriacare l’opinione pubblica di sdegno contro i briganti, e perché ciò si avverasse abbisognava che i quotidiani piú importanti, a tiratura locale e nazionale, parlassero continuamente delle nefandezze e delle malvagità contadine. Le popolazioni del Sud venivano dipinte come primitive, barbare, invasate di religione, analfabete; i partigiani regi venivano fatti passare per briganti che scannavano e decapitavano i soldati piemontesi. Il 12 agosto al maggiore Melegari fu ordinato di presentarsi dal generale Cialdini; con solerzia si recò alla luogotenenza, dove lo ricevette il generale Piola-Caselli, che lo fece accomodare e gli disse: – Maggiore, lei avrà sentito parlare di sicuro del doloroso ed infame fatto di Casalduni e Pontelandolfo; ebbene, il generale Cialdini non ordina, ma desidera che quei due paesi debbano fare la fine di Gaeta, ossia devono essere rasi al suolo ed i suoi cittadini massacrati. Cialdini in un’altra stanza stava istruendo il generale De Sonnaz che doveva dirigere le operazioni. Melegari partí con una compagnia di quattrocento soldati e il 13 mattina giunse a Solopaca; a mezzogiorno nei pressi di Guardia. Alle due del mattino del 14 agosto Melegari ed i suoi quattrocento eroi avevano invaso San Lupo; fece svegliare il capitano della Guardia Nazionale al quale disse: -Capitano, mi occorrono duecento uomini, devo attaccare i briganti. – Maggiore, i briganti sono tanti e bene armati. Ci faranno a pezzi se andiamo sul loro terreno! – rispose l’ufficiale della guardia nazionale. Melegari: – Capitano, niente di tutto questo. Sono venuto qui per punire gli abitanti di Casalduni; a Pontelandolfo sta dirigendosi De Sonnaz. So cosa devo fare. Qualcuno, forse qualche parente del capitano della guardia nazionale, corse ad avvertire il sindaco di Casalduni, Ursini. Da quel momento iniziò l’esodo dei casaldunesi verso le montagne difese dai partigiani di Giordano. Ursini, conoscendo la storia del Piemonte, conoscendo la barbarie dei suoi ufficiali e la viltà di Cialdini, conoscendo bene le idee liberali massoniche e sapendo che quelle erano idee di conquista, fece spargere per la città la voce che i piemontesi stavano per arrivare. Tutti, o quasi, corsero sui monti. Rimasero in paese solo qualche malato e qualcuno che non credeva ad una dura repressione; qualche altro pensava di farla franca restando chiuso in casa. Alle quattro del mattino, il 18° battaglione, comandato dal maggiore Melegari e guidato verso Casalduni dal liberale Jacobelli e dalla spia Tommaso Lucente, ricco nobilotto di Sepino, aveva già circondato il paese. Melegari si attenne agli ordini ricevuti dal generale Piola-Caselli e fece disporre a schiera le quattro compagnie di cento militi ciascuna. Dovevano aprire il fuoco di fila per incutere paura ai partigiani, che, secondo le informazioni ricevute, avrebbero dovuto difendere Casalduni da attacchi esterni; e poi attaccare il paese, baionetta in canna, di corsa, concentricamente. Le quattro compagnie ebbero il comando di carica alla baionetta da Melegari e cominciarono la carneficina ed il saccheggio delle case e delle chiese come erano soliti fare per poi passare ad incendiarle. La prima casa ad essere bruciata fu quella del sindaco Ursini, indicata alla truppa dal servo nonché traditore Tommaso Lucente da Sepino. Sentendo gli spari e le grida dei bersaglieri, i pochi rimasti in paese uscirono quasi nudi; cercavano la montagna e trovarono la morte, infilzati dalle baionette dei piemontesi. L’eccidio fu meno feroce che a Pontelandolfo perché appunto, la gente, avvertita, era scappata. Dopo aver messo a ferro e fuoco Casalduni ed aver sterminato gli abitanti ivi rimasti, l’azzurro ed eroico maggiore Melegari chiamò a sé il tenente Mancini e gli ordinò di andare a Pontelandolfo per ricevere istruzioni dal generale De Sonnaz. Dopo un’ ora il tenente ritornò, scese da cavallo e rivolgendosi al suo maggiore disse: – Possiamo tornarcene a San Lupo, il colonnello Negri hadistrutto completamente Pontelandolfo. Ho visto mucchi di cadaveri, forse cinquecento, forse ottocento, forse mille, una vera carneficina! Il 15 agosto 1861 il Generalissimo Enrico Cialdini, dalla sede dell’alto Comando di Napoli, telegrafò al ministro della guerra piemontese e quindi al mondo intero: “ieri all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni” […]. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Marcello Curzio Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente De Blasi racconta ... Articolo Successivo Prosciuttificio Ciar...