Di Elisa Giammarino Cultura, Libri cultura, libri, vocazione territoriale, xd magazine 6 agosto 2018 Quando sono arrivata a Bisaccia c’era un funerale: il saluto di chi resta a chi ormai non c’è più, il saluto di chi non c’è più a chi invece resta. Di lì a poco avrei incontrato il poeta e “paesologo” Franco Arminio per soffermarci su “Cartoline dai morti 2007-2017”, ma nell’attesa un pensiero fisso mi accompagnava. “Chissà quale sarebbe stata in quell’occasione la “cartolina” inviata con quella dipartita!”. Cartolina, appunto, e non poesia. Una scelta ardua, quella di Franco Arminio, che predilige, ai tradizionali versi, il genere della cartolina, missiva breve e succinta, facendone una nuova forma letteraria, originale e sarcastica, di cui si serve per dar voce alla sua riflessione sulla morte. A distanza di dieci anni dalla prima edizione, “Cartoline dai morti 2007-2017” si amplia dando spazio a nuovi testi in una riedizione pubblicata da “Nottetempo”, e uscita tra “Cedi la strada agli alberi” e “Resteranno i canti”, prossima pubblicazione dell’autore. Fredde e lucide, ironiche e paradossali le 150 cartoline sono fulminei ricordi, rimpianti, brevi pensieri di persone defunte, per lo più umili, sconosciute e dimenticate, che descrivono il momento della loro morte. Vista da questa prospettiva la vita diventa un filo sottile pronto a spezzarsi in qualsiasi momento. E così guardando il mondo dall’eternità, che solo la morte sa di avere, i morti di Franco Arminio lasciano sulla terra ogni vana illusione, che è speranza di alcuni, aspettativa di tanti, sogni di molti, per abbracciare un destino che è comune a tutti. I suoi morti sono di poche parole. Non amano le descrizioni puntuali e dettagliate. Si limitano, come un fulmine a ciel sereno, a poche righe, spesso anche simpatiche, ma che poi lasciano l’amaro in bocca. Nulla a che vedere con “Antologia di Spoon River” dell’americano Edgar Lee Masters, dove una raccolta di epitaffi autobiografici degli abitanti di Spoon River riassume il senso di un’intera esistenza tra rimorsi e ricordi. Qui, invece, nelle cartoline, gli unici ricordi sono quelli del momento prima di esalare l’ultimo respiro. E Franco Arminio lo fa senza angoscia ma con uno stile comico e grottesco, per “evitare che muoia anche la morte”. Il libro, così, diventa quasi un pretesto per parlare di essa e per guardarla negli occhi perché, si sa, “siamo a scadenza”, commenta il poeta. Nato dall’esperienza personale come medicina per rielaborare il proprio trauma personale e per frenare angoscia e paura che albergano nei luoghi più oscuri dell’intimo, “Caroline dai morti” sottolinea la necessità dell’autore di confrontarsi con la morte. Essa diventa il punto di partenza per una riflessione disincantata sulla vita, su ciò che la caratterizza, e sul tempo che scorre inesorabile. Al distacco e alla sofferenza che la accompagnano, si affianca anche la necessità di guardare ad essa come occasione per sospendere la vita ordinaria e riflettere sul mistero dell’esistenza umana, per rigenerarsi e rigenerare il rapporto con l’altro. Un riprendere se stessi per riconciliarsi con l’altro, a cui siamo accomunati dallo stesso risaputo destino. Morte, dunque, come momento di fratellanza, come invito ad abbassare barriere e pregiudizi. Morte come culto dei morti, ancora labilmente vivo al sud, forse dimenticato al nord, dove l’economia frenetica non dà il tempo di soffermarsi su quel che è stato e che si è perso. Morte come tempo sospeso, come rinascita. Morte come “corrispondenza di amorosi sensi”, per tener vivo il ricordo, sempre e comunque. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Elisa Giammarino Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente “Il diario di ... Articolo Successivo “La ragazza di Vizzi...