Di Loredana Zarrella A tavola, Lifestyle a tavola, carnevale, vocazione territoriale, xd magazine 10 febbraio 2018 Forme e colori carnevaleschi sono pronti ad andare in scena per le vie cittadine e le stradine dei borghi. Sono le usanze dei carri allegorici ma anche quelle contenute nei piatti della tradizione secondo ricette ormai consolidate e solo leggermente variate e arricchite nel tempo, come accade sovente. Così, assieme alla cartapesta plasmata sulle strutture più fantasiose sfilano, nelle cucine e nei forni, le pizze chiene rustiche e le pizze dolci di ricotta, le castagnole, le chiacchiere, e le lasagne, immancabili oggi sulle tavole del Martedì Grasso, con il loro abbondante ripieno di polpettine, ragù, salsiccia, pancetta, uova, scamorza, mozzarella e ricotta, a seconda delle varianti e dei gusti, ovviamente, più o meno vicine alla ricetta napoletana classica. Il periodo in questione inizia dal 17 gennaio, ossia la data canonica, come da antica tradizione, dedicata dalla Chiesa a Sant’Antonio Abate, considerato il protettore degli animali domestici. Il maiale è uno dei pochi animali accolti nell’iconografia religiosa e, non a caso, viene raffigurato ai piedi del Santo. Secondo la tradizione, inoltre, il suo grasso era un antidoto contro l’herpes zoster, noto come il fuoco di Sant’Antonio. È questo il tempo delle sfilate dei sapori che, come la stessa parola ricorda (carne- levare, togliere la carne), sarà poi scalzato dalla Quaresima. Complice il gran freddo di questo periodo dell’anno, e la concomitanza con l’uccisione del maiale, che un tempo era un vero e proprio rito, nel rispetto della tradizione ma soprattutto nell’ottica del sostentamento della famiglia, abbondano i piatti a base di questa carne bianca. Si dice, non a caso, che del maiale non si butta via nulla. Momento topico del mondo contadino, la sua macellazione era una vera e propria occasione di festa per tutti, compresi per i bambini che non andavano a scuola per assistere al rituale. A tavola si mangiavano poi le parti che necessariamente andavano consumate fresche, a partire dal sangue, cucinato in vari modi. Il porco appare così, nella storia contadina e nella letteratura etnografica, come una sorta di “re sacrificato del Carnevale”. Via allora alle “sfilate” di cotechini e salsicce, nonché alla meticolosa preparazione dei dolci tipici. Dolce antichissimo, il sanguinaccio viene preparato mescolando il sangue del maiale con cioccolato, cacao, zucchero e farina. Ragioni igienico-sanitarie ne vietano oggi, dal 1992, la vendita al pubblico. Tra i dolci, come non ricordare poi le immancabili pizze di ricotta. Re della tradizionale carnevalesca sono invece oggi le chiacchiere, conosciute in tutta Italia con diversi nomi (a Roma sono le cosiddette “frappe”) ma che appaiono, universalmente, come lunghe sfoglie croccanti di pasta dolce, fritta e ricoperta di zucchero a velo, dai caratteristici bordi seghettati. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Loredana Zarrella Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Dolci di Natale: len... Articolo Successivo I tesori del Real Si...