Di Antonio Mango A tavola, Lifestyle Irpinia, lifestyle, vocazione territoriale, xd magazine 20 aprile 2017 C’è chi ha lavorato per i social media della Juventus, chi proviene dalla generazione Erasmus, chi ha studiato marketing girando per l’Europa, chi coltiva senza terra, chi è semplicemente un maturo agricoltore e ci prova. Sono i protagonisti di una green economy fatta in casa, al tempo della crisi o dei primi segnali di ripresa. Per lo più giovani produttori, sensibili ai richiami delle tendenze salutiste, detentori di una propria nicchia di mercato, possibilmente bio e di alta qualità, in attesa che qualcosa si muova sul fronte delle misure europee e che le banche sciolgano finalmente i cordoni della borsa. I prodotti? Canapa da fibre, colture idroponiche come fragoline e frutti di bosco raccolti e consegnati al momento, bacche di Goji, re degli antiossidanti, luffa e spugne vegetali e tutto il ben di Dio che si può seminare pur di sopravvivere alla crisi. Si coltiva anche questo in Irpinia. E a metterci mani e competenze sono in genere i figli del Sud e delle biodiversità, che hanno girato il mondo e che con poca o molta terra provano a fare impresa a casa propria. È il caso di Giuseppe Ceccarelli, che ha abbandonato 18 anni di lavoro informatico tra Roma e Milano per dedicarsi in Irpinia ai pioppeti di famiglia e ai piccoli frutti coltivati in strutture idroponiche. Una società, Yaya Fruit, e l’intuizione del fresco su misura ovvero tutto quello che serve a pasticcerie e ristoranti di qualità, grazie a mille metri quadrati di serra idroponica. Frutti di bosco? Ci sono proprio tutti -fragole, fragoline, more, mirtilli, lamponi- e poi il campione di casa: le bacche di Goji, origine tibetana, in cima alla hit parade dei contenuti antiossidanti (tabella Orac, Oxygen Radical Absorbance Capacity). Ma non è finita qui. In azienda si fiuta il mercato e si producono anche ortaggi di tendenza come datterini gialli, patate viola, zucca mantovana. Senza disdegnare la “luffa”, coltivata questa volta in terra, buona per profumerie ed erboristerie. “L’unica spugna veramente vegetale”, dice Giuseppe. Nicchie di mercato? Certamente. Ma le idee innovative fanno agio sulla crisi. Come quelle di Francesco Procacci, 33 anni, Cervinara, altro figlio del Sud. Curriculum corposo, esperienze in giro per l’Europa, ora c’è la canapa nel mirino del ritorno. Una laurea tra le università romane Sapienza e Lumsa, una specializzazione in marketing, Erasmus a Madrid e studio-lavoro a Brighton, adesione a un bando della Regione Lazio e un’esperienza di lavoro presso il Centro di educazione ambientale Panta Rei (una sorta di fattoria didattica). La cosa più curiosa: un tirocinio curriculare sui social media marketing targati Juventus con successivi otto mesi di lavoro. Infine, il ritorno alla terra d’origine, dopo un’esperienza in Umbria, all’insegna della canapa. Non quella generalmente equivocata come “fumo”, ma quella coltivata in sostituzione delle foraggere in tempi di decadenza della zootecnia. Una coltura molto in voga in Italia negli anni ’50, di cui poi si è persa traccia e che ora pare di nuovo in grande spolvero. Viene definita canapa da fibre, per intendersi, ed è usata nella bio-edilizia, nel tessile, nell’industria della carta o, come semi, nelle farine, pane, pasta, olio, addirittura per infornare una buona pizza di canapa o ancora come pianta ambientalista che bonifica i terreni. “Sì, le idee ce l’abbiamo –confessa Francesco- ma occorre anche meno burocrazia, tempi rapidi e soprattutto banche che hanno voglia di investire su di te”. Intanto funziona il passaparola. Da Cervinara ad Ariano ci prova con la canapa da industria anche Domenico Pagliaro, ex Carabiniere, convertitosi all’innovazione in agricoltura, con tanto di contratto già stipulato per la fornitura di semi e il ritiro della materia prima. “Ci tentiamo”, dice, mentre Gianfranco Cuoco, presidente della Cia di Ariano, fa il conto di chi sta già investendo sulla coltura e pensa a un futuro contratto di filiera che abbia un senso collettivo. “È una coltura polifunzionale –aggiunge- ed è anche miglioratrice del ciclo agronomico”. Si spera ovviamente su prezzi remunerativi. Nei prossimi mesi si vedrà. Intanto, a conti fatti, il binomio giovani – agricoltura funziona. Casi isolati quelli raccontati? Nemmeno per sogno. Nell’ultimo rapporto Ismea-Svimez sull’agricoltura del Mezzogiorno emerge che nell’anno appena trascorso l’occupazione giovanile è cresciuta in Italia dell’11,3 per cento e del 12,9 nel Sud. In cifre assolute il saldo positivo è di quasi ventimila imprese. Come dire: madre terra in tempi di crisi non delude. E i giovani ci credono. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Antonio Mango Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Il passato torna di ... Articolo Successivo La cipolla ramata di...