Di Marcello Curzio Storia, Territorio storia, territorio, vocazione territoriale, xd magazine 5 luglio 2017 La storia d’Italia è davvero ricca di figure femminili, che si sono date al brigantaggio lottando senza timore, vivendo lunghi periodi di latitanza e mettendo in pericolo le loro vite pur di raggiungere i loro obiettivi di libertà ed indipendenza. Erano donne che miravano ad assicurarsi l’autonomia dei loro territori e molto spesso la libertà dei loro figli e dei loro mariti. La maggior parte di esse erano donne del Sud, abili ad usare sia il coltello che il fucile I giornalisti piemontesi le chiamavano “drude”, rispolverando un antico vocabolo gaelico che indicava le amanti disoneste, le donne di malaffare. Erano le brigantesse: non tutte partecipavano direttamente alla lotta armata. Molte svolgevano il ruolo di vivandiere, infermiere, staffette: erano le “donne del brigante”, spesso vittime dei soprusi, ridotte alla fame, tenute d’occhio dalle autorità. Delle loro storie, non c’è traccia nei libri di storia anche se sono state protagoniste di imprese leggendarie tramandate, il più delle volte, solo oralmente da padre in figlio o da nonno a nipote. Ecco i loro nomi: Maria Maddalena De Lellis, Luigia Cannalonga, Maria Oliviero, Giuseppina Gizzi e Maria Orsola D’Aquisto. Nella banda di Andrea Santaniello, Maria Maddalena De Lellis aveva una posizione preminente. Detta la “Padovella”, era una specie di segretaria della comitiva, e forse amanuense perché, si dice, era l’unica che poteva usare un pezzo di matita fra tanti analfabeti. Dalla montagna di Mignano nell’Alto Casertano, la Padovella aveva scritto una lettera al prete don Leone chiedendo una forte somma di danaro e mandandogli un orecchio del nipote catturato. Luigina Cannalonga era una contadina di Serre, madre del capobrigante Gaetano Tranchella. Manifestava antipatia per Garibaldi, ed aveva inculcato quest’odio nell’animo dei figli Rosario e Gaetano. Dei due, Rosario finì presto in galera; Gaetano divenne capo di una banda di cui la madre era l’effettiva organizzatrice. Già imputata nel 1862 di corrispondenza con banda armata, somministrazione di viveri ed alloggio, fu successivamente assegnata a domicilio coatto quale “sospetta manutengola di brigantaggio”, per deliberazione della Prefettura di Salerno. All’isola del Giglio Cannalonga incontrò altre donne compromesse con il brigantaggio, Giovannella Mazzeo la donna di Giuseppe Sofia, Angela Iacullo fidanzata di Vito Palumbo, Sofia Martuscelli favoreggiatrice e spia, ed altre. Quando Gaetano Tranchella venne ucciso il 14 agosto 1864, cessò la ragione del domicilio coatto e Luigia Cannalonga venne rilasciata. Non ritornò a Serre, fece perdere le sue tracce. Andò sulla montagna dove era stato il figlio, e qui trovò una giovane donna che ne era diventata l’amante ed aveva da poco partorito. Con la nuora e la nipotina rientrò finalmente a Serre. Maria o Marianna Oliviero detta Ciccilla sposò Pietro Monaco. Questo suo matrimonio era stato preceduto da una tragedia. Il Monaco aveva già sposato Concetta Oliviero, sorella di Ciccilla, ma le sue attenzioni erano per Ciccilla non per la moglie Concetta, e Ciccilla folle di gelosia, attrasse in inganno la sorella in casa e la uccise a coltellate. Poi raggiunse il suo uomo e divenne brigantessa, prendendo parte a sequestri ed uccisioni. Fra l’altro, i coniugi briganti sequestrarono il vescovo di Nicotera e il canonico Benvenuto; riuscirono ad arraffare 15.000 ducati, ma, durante un conflitto con la Guardia Nazionale, i due religiosi riuscirono a fuggire. La banda ne aveva fatte tante che alcuni gregari si lasciarono convincere a far fuori il capo. Pietro Monaco infatti fu ucciso, e Ciccilla, benchè ferita, fuggì per la campagna, Divenne lei il capo della banda. Catturata infine da un reparto del 58° fanteria comandato dal capitano Dorna, fu rinviata a giudizio e condannata a morte dal tribunale di Catanzaro, pena commutata in quella dei lavori forzati. Fu una brigantessa “bella e crudele”, come raccontavano i suoi paesani, donna di fede con “carattere di comando”. Maria Oliviero preparò la catasta di legna per bruciare il corpo del marito, come si usava per i briganti uccisi in combattimento, ed al capitano Dorna disse: “se non era per quel traditore, anche con Pietro Monaco morto la banda restava, la guidavo io Maria Oliviero moglie di Monaco”. Arrestata fu deferita al tribunale di Catanzaro. Giuseppina Gizzi, detta Peppinella “bella di viso e di tratti” era la fidanzata che “serviva solo per lui” di Giacomo Parra detto Scorzese. Il brigante Michele di Gè racconta nella sua autobiografia come una volta Parra mandò a chiamare per la biancheria e i viveri Peppinella che da allora rimase con lui e si aggregò alla banda. Fu una delle tante scelte che facevano madri, sorelle, mogli, amanti di briganti. Un tale Alfonso Panaro convinse il manutengolo Pasquale Lisanti ad uccidere Parra e Peppinella. Le due teste non furono portate al sindaco di Muro Lucano, che aveva garantito l’impunità al Lisanti, ma al Sindaco di Bracigliano con cui segretamente il Lisanti aveva avuto altri contatti. E ci fu contesa fra i due Comuni, Muro Lucano e Bracigliano, per avere le teste degli uccisi! In un rapporto dei carabinieri reali di Salerno del 18 marzo 1867 si legge: “in seguito di perlustrazioni ed appostamenti, riuscì il 13 andante ai carabinieri della stazione di Acerno e Giffoni imbattersi in otto briganti con a capo Cerino in luogo detto Filettone. Non appena vista la forza i briganti si buttarono per burroni e dirupi spaventosi dirigendosi verso la pianura e la masseria Spaccone, costretti a spogliarsi dei loro mantelli per essere più leggeri; colà giunti, si cacciarono nel fiume, gettando armi ed indumenti che davano impaccio, per riparare dall’altra sponda. Tentarono i briganti, appena giunti in posizione elevata, di far fuoco, ma di nuovo volsero le spalle inseguiti fino a Campo Rotondo”. Segue la narrazione del recupero di indumenti ed oggetti abbandonati e del rinvenimento di un brigante ormai senza vita. Non era un brigante, ma la brigantessa Maria Orsola D’Aquisto, di Palinuro, arruolata nella banda da un anno”, che (continua il rapporto) “si era data alla campagna col brigante Ielardi Pietro del quale supponesi druda”. Un rapporto di qualche tempo prima aveva riferito: “rimane una sola brigante della banda Scarapecchia, ed è la brigantessa D’Aquisto, di cui si fanno le pratiche per indurla a presentarsi o per impadronirsene”. Maria Orsola dalla banda Scarapecchia era passata a quella di Pietri Ielardi, che agiva senza legami con altre bande. E un altro rapporto completa la storia: “giova ricordare che la druda D’Aquisto avventuratasi in questo circondario, ne venne scacciata, dopo aver perduto per ferite in combattimento e per presentazione volontarie quattro briganti che l’accompagnavano; non ebbe tempo di consumare alcun reato perché scappò facendo in tempo di cibarsi di carne cruda. Stamane è stato trovato il cadavere di una donna di 27 anni, l’infelice mostrava gravi ferite, un’orecchia recisa, e risultava essere Maria Orsola D’Aquisto, capelli foltissimi, occhi celesti, colorito naturale, vestito centolese”. Era morta in combattimento con i Carabinieri Reali, Ielardi era lontano, verso altre avventure. L’avventura di Maria Orsola era cominciata sette anni prima, quando aveva vent’anni. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Marcello Curzio Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente San Barbato, una for... Articolo Successivo De Sanctis, quel Via...