Di Marcello Curzio Storia, Territorio storia, territorio, vocazione territoriale, xd magazine 4 maggio 2018 Angela Romano è diventata uno degli emblemi del brigantaggio nell’ex regno delle Due Sicilie. Aveva solo nove anni quando i bersaglieri dei Savoia non esitarono ad ucciderla. E non ha alcuna importanza se sia stata vittima incolpevole ed inconsapevole di una vera e propria rappresaglia, ovvero solamente vittima non voluta, un mero “incidente di percorso”, un “effetto collaterale”, in ore di cruenti scontri. Conta solamente che: «Romano Angela, figlia di Pietro e della consorte Giovanna Pollina, all’età di 9 anni, alle ore 15 circa di oggi in Castellammare, rese l’anima a Dio senza i sacramenti, nella villa cosiddetta della Falconera, poiché fu uccisa dai soldati del Re d’Italia. Il suo corpo è sepolto nel nuovo campo santo!» Una legge pubblicata il 30 giugno 1861 aveva introdotto in Sicilia la leva militare obbligatoria della durata di appena sette anni! Leva obbligatoria, fino ad allora, sconosciuta. Gli unici ad esserne esenti, pagando, erano i rampolli dei cosiddetti cutrara, quei liberali che si erano fatti forti del loro collaborazionismo per impossessarsi della coltre, «‘a cutra», del potere. I timori per il paventato allontanamento di tante giovani braccia e l’opposizione, per l’appunto, a questa classe autoreferenzialmente liberale, diedero origine a quella che, forse solo riduttivamente, è conosciuta come rivolta dei cutrara, in realtà veri e propri moti popolari, esplosi a capodanno del 1862 contro una classe dirigente asservita agli interessi politici ed economici del Regno d’Italia e dei piemontesi. Il pomeriggio del 2 gennaio, alcune centinaia di giovani, guidati da due capipopolo Francesco Frazzitta e Vincenzo Chiofalo, trucidarono il commissario alla leva, Bartolomeo Asaro, e il comandante della guardia nazionale, Francesco Borruso. Altrettanto esagerata, spropositata, al di fuori da ogni logica, furiosa, ingiustificata ed ingiustificabile fu la reazione, la rappresaglia violenta di cui si resero protagoniste alcune centinaia di bersaglieri, inviati dal generale Giuseppe Govone e guidati dal generale Pietro Quintino. In mancanza d’altro, non trovarono di meglio da fare che trucidare un manipolo di sette inermi, radunatisi nelle campagne di contrada Fraginesi, forse semplicemente per tenersi lontani dagli scontri in paese. Si trattava di Mariana Crociata, cieca, analfabeta, 30 anni, figlia di Antonino e di Antonia Messina, sposata con Giuseppe Provenzano; Marco Randisi, bracciante agricolo, storpio, analfabeta, 45 anni, figlio di Francesco e di Vincenza Messina, sposato con Antonia Lombardo; Benedetto Palermo, sacerdote, 46 anni, figlio di Leonardo e di Maria Pilara, rimase agonizzante per più di un’ora, fino a quando un bersagliere, forse mosso a pietà, non lo infilzò alla gola con la sua baionetta; Angela Catalano, contadina, zoppa, analfabeta, 50 anni, vedova di Giuseppe Di Bona; Angela Calamia, disabile, analfabeta, 70 anni, figlia di Pietro e di Margherita Gallo, sposata con Pietro Colomba; Antonino Corona, disabile, 70 anni, fu Bartolomeo, sposato con Paola Coci e poi lei, Angela Romano, 9 anni, figlia di Pietro e di Giovanna Pollina, semplicemente: una bambina! Poco tempo dopo, il generale Pietro Quintino ricevette la croce di cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Il generale Giuseppe Govone, invece, giustificò il massacro affermando che: «la Sicilia non è ancora uscita dal ciclo che percorrono tutte le nazioni dalla barbarie alla civiltà»! Dieci anni dopo, morì suicida…chissà se vinto dal rimorso. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Marcello Curzio Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Industria e lavoro a... Articolo Successivo L’Irpinia sempre viv...