Di Marcello Curzio Storia, Territorio cultura, storia, territorio, vocazione territoriale 2 maggio 2017 I nomi dei briganti e delle brigantesse che si opposero ai Savoia da Sala Consilina al Vallo di Diano, da Agropoli a Camerota ignoti alla grande storia. Da Giuseppe Tardio, l’avvocato brigante alle “drude” Maria Rosa Marinelli, Filomena Cianciarulo e Reginalda Rosa Cariello. Storie inedite appunto, e a oggi mai rese note, di brigantaggio a sud di Salerno. Anche nel Cilento ci furono diverse bande, ma la più importante — oggetto finanche di una interrogazione parlamentare — fu quella di Giuseppe Tardio, originario di Piaggine, un paese del Cilento interno. Giuseppe Tardio, “intelligente ed inafferrabile condottiero dei contadini-briganti”, come scrive Antonio Chiazza nella prima biografia su Tardio, era primo di quattro fratelli ed aveva studiato con sacrifici presso il Reale Liceo di Salerno, laureandosi nel 1858 — a 24 anni — in Legge con il massimo dei voti. Di sentimenti liberali, il giovane legale di origine contadina, dopo aver visto il gattopardismo e gli antichi padroni che, mutato regime politico, erano rimasti a galla per continuare a spadroneggiare, passò con i filoborbonici dopo essere stato addirittura ispettore della Polizia Generale ed essere stato anche in prigione per aver partecipato, tempo addietro ad una manifestazione a Salerno a favore di Vittorio Emanuele II. Il 18 settembre del 1861, con 32 uomini, partì dal porto di Civitavecchia e nella notte tra il 21 e il 22 settembre sbarcò ad Agropoli, dove compì numerose azioni di rivolta antiunitaria in numerosi paesi del Cilento: Centola, Foria, Camerota, Butani, Celle Bulgheria, Novi Velia, Vallo della Lucania, spesso accolto con simpatia da parte della popolazione, mentre la sua soldatesca andava sempre più ingrossandosi. Al comune di Camerota, ad esempio, nel luglio del 1862 i suoi militanti abbatterono gli stemmi reali, frantumarono il busto di Vittorio Emanuele II, lacerarono una litografia di Garibaldi. Il Cilento, Sala Consilina ed in generale il Vallo di Diano, furono dunque aree fortemente interessate al fenomeno del brigantaggio nel periodo postunitario anche se non con la virulenza della confinante Basilicata. I momenti cruciali e di massima diffusione del Brigantaggio furono quelli della decade 1860-1870 con ancora qualche attività negli anni successivi. Nel 1861 c’è un Rapporto del Governatore della Provincia di Principato Citra sulla presenza di “un’orda reazionaria a Sala e sulle montagne di Piaggine fino al Cilento interno”, con ciò riferendosi ad elementi ostili al neonato (17 marzo 1861) Regno d’Italia. Nel 1861 e 1862 ci sono varie segnalazioni da parte della Prefettura di attività di brigantaggio nel circondario di Sala. Ma anche ad Agropoli e a Vallo della Lucania. Anche in questo caso, un ruolo determinante fu quello delle “drude”, le brigantesse Maria Rosa Marinelli e Filomena Cianciarulo (quest’ultima, amante del capobrigante Nicola Masini), riparate a Sala nel 1863 per portare avanti la gravidanza di quest’ultima. Nella primavera del 1864, la Cianciarulo partoriva nella casa degli Acciari una femminuccia. La neonata, dopo essere stata battezzata da Don Felice Acciari, fu poi abbandonata nella “ruota degli esposti” della città. Durante il combattimento che aveva visto la morte di Angelantonio Masini, cugino del capobrigante Nicola, la Marinelli era riuscita a sottrarsi alla cattura saltando, da una finestra posta al piano superiore, sul tetto di una casa vicina. Il salto le procurò una ferita ad una gamba ma riuscì ugualmente ad eclissarsi e rimanere nascosta nella zona di Padula per alcuni giorni, al termine dei quali, stremata per i morsi della fame, il dolore della ferita, e il grande freddo (siamo a fine dicembre), si costituì spontaneamente al Comando della Sotto Zona di Marsiconuovo, in provincia di Potenza. La Cianciarulo invece, di nuovo incinta e pertanto abbandonata dalla banda, non partecipò al combattimento nella Masseria Ferrara, ma venne arrestata nel gennaio del 1865 in casa di Rocco Gioscia, a Calvello, nell’entroterra potentino, dove era riparata nel frattempo. Il Gioscia, era un capomastro che per questo episodio verrà condannato a 20 anni di Lavori Forzati, poi ridotti a 15, con l’accusa di complicità in brigantaggio, dal Tribunale di guerra della Basilicata. Una terza brigantessa, Reginalda Rosa Cariello (Reginella) di Padula, rapita e poi divenuta amante dal brigante Pietro Trezza da Padula, dopo la morte di quest’ultimo in combattimento agli inizi del 1864, divenne la vivandiera della banda Masini. Dopo la morte del capobanda alla fine del 1864, anch’ella si costituì spontaneamente il 14 gennaio 1865 alla Sotto-Prefettura di Sala Consilina con il resto della banda Masini. Le tre donne processate il 2 maggio 1865 per brigantaggio e altri reati dal Tribunale militare di Guerra in Potenza, vennero, con sentenza del 6 maggio 1865, assolte dai reati, in quanto commessi in regime di costrizione e non per libera volontà. Le assoluzioni furono pronunciate grazie soprattutto alle abili difese portate avanti dai sottotenenti Gustavo Polloni e Antonio Polistina. Fu particolarmente efficace la brillante difesa del Sottotenente Polistina, difensore della Marinelli, che contestò le deposizioni dei testimoni dell’accusa, in molti casi false o inesatte e fece leva sulla situazione di coercizione materiale cui era stata suo malgrado sottoposta la sua assistita e l’ambiente familiare di profonda miseria e degradazione in cui era vissuta fin dall’infanzia. Per uno strano destino, i due giovani ufficiali difensori morirono dopo solo pochi anni dal processo. In seguito, nuovamente processate nel 1866 da un’altra Corte non militare per reati commessi prima del periodo passato tra i briganti, le stesse furono condannate. La Marinelli, accusata di “associazione di malfattori, estorsione, sequestro di persona, lesioni” fu condannata a 4 anni di reclusione e 6 anni di vigilanza speciale, la Cianciarulo, accusata di “complicità di estorsione, sequestro di persona, furto di pecore e lesioni” a 3 anni di reclusione e 6 di vigilanza speciale. La Cariello invece, venne arrestata come le altre, ma fu poi rimessa in libertà, in quanto ritenuta dalla Corte, non punibile, avendo commesso i reati in evidente stato di costrizione. Tutte si rifecero poi una vita sposandosi, mentre per quanto riguarda la Cariello, emigrò in America. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Marcello Curzio Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Ariano 1715: il test... Articolo Successivo Aldo Cazzullo: “Gli ...