Di Marcello Curzio Storia, Territorio storia, territorio, vocazione territoriale, xd magazine 14 febbraio 2018 Da sempre, il ponte del Garigliano è uno dei simboli del Regno delle Due Sicilie. Qui si è combattuta La battaglia del 29 ottobre 1860 che fu una tappa importante dello scontro tra l’esercito piemontese e quello borbonico. Avvenne pochi giorni dopo il plebiscito conseguente alla spedizione dei mille, avvenuto il 21 ottobre di quello stesso anno. Ma sul vecchio ponte in ferro che unisce le due rive del Garigliano e che un tempo non lontano fu un vanto dell’ingegneria borbonica ed ora giace abbandonato al vandalismo più spietato, fino a poco tempo fa non c’era neanche una piccola lapide che ricordi il sacrificio di Matteo Negri e del capitano Domenico Bozzelli. Eppure costoro morirono onoratamente difendendo una patria ed un giuramento, uomini d’onore, lasciati nel limbo del anonimato. Domenico Bozzelli era nato in una famiglia di umili origini, sembrava destinato a vestire l’abito talare, ma a vent’anni cambiò idea e si arruolò volontario nell’esercito di Sua Maestà il re Ferdinando II, fu assegnato al 5 Cacciatori. Dopo 14 anni di carriera subalterna, giunse ad essere promosso alfiere al 13 Lucania, il 10 marzo 1849. Dopo la campagna di Sicilia, dove aveva meritato la medaglia d’oro di I^ classe, fu promosso I tenente al 6 Cacciatori. Il 2 novembre del 1860, l’esercito borbonico, incalzato dal bombardamento della flotta sarda, iniziò il ripiegamento verso Gaeta. I piemontesi attaccarono in forze i soldati napoletani presso il ponte sul Garigliano, per poterli prendere alle spalle, oltre il mare, ma sulla riva destra del fiume era rimasto, nonostante l’ordine di ritirarsi, Domenico Bozzelli, con due compagnie. Esse impedirono il passaggio del fiume per un’intera giornata, e non avendo ottenuto l’onore delle armi da un nemico che non sapeva riconoscere l’eroismo e l’onore se non quando la cosa interessava le sue truppe, preferirono soccombere tutti, seguendo l’esempio di coraggio dato dal capitano Bozzelli. L’altro eroe “dimenticato” del Garigliano fu Matteo Negri. Di marcate origini siciliane, fu uno di quei meridionali che nel 1860 scelse di non tradire e, da ufficiale dell’Esercito delle Due Sicilie ligio al dovere e all’onore, due tratti che erano stati instillati in lui negli anni della formazione alla Nunziatella, difese fino alla morte la propria patria. Morì il 29 ottobre 1860 mentre, con i suoi uomini, impegnava l’esercito garibaldino e piemontese lungo il fiume Garigliano, quando tutto era già perduto. Nonostante questo non è mai venuto meno ai suoi compiti. Palermitano nato il 21 giugno 1818, primo dei sei figli del Capitano Michele Negri dei Baroni di Paternò e di Maria Antonia Termini dei duchi di Vaticani, entrò nel Real Collegio Militare della Nunziatella a 14 anni, nel 1832. La Nunziatella rappresentava il massimo per l’istruzione militare e il fior fiore dell’ufficialità dell’Esercito delle Due Sicilie aveva ricevuto la propria istruzione proprio nei suoi locali. Uscì dalla Nunziatella come Alfiere dell’Artiglieria sette anni dopo, nel 1839, e cominciò a dedicarsi all’arte della guerra pubblicando anche testi scientifici sull’argomento dell’artiglieria. Fu uno dei primi ad elogiare la nuova tecnica di rigatura dell’artiglieria che porterà alla nascita dei cannoni rigati che con tanta viltà verranno usati dai piemontesi durante la campagna del 1860-61. Questa capacità intellettuale unita a doti di comando e abilità tattiche che gli valsero la medaglia nella campagna di Sicilia nel 1849, diretta dal Generale Gaetano Filangieri, e l’attribuzione degli Ordini cavallereschi di San Giorgio della Riunione, di Francesco I e di San Ferdinando e del Merito. Una rapida carriera militare che lo porta ad essere nominato Tenente Colonnello quando Garibaldi è già in Calabria. Il 7 settembre segue il suo Re, Francesco II a Capua e gli viene affidato il comando dell’Artiglieria nella battaglia del Volturno suscitando l’ammirazione di tutti i suoi contemporanei. Il tradimento piemontese e l’invasione dal nord cominciata il 18 ottobre, segnò la fine di ogni speranza. L’esercito napoletano passo al Garigliano per stabilire la nuova linea di resistenza delle forze armate. È promosso rapidamente Colonnello e poi Generale di Brigata. Organizza, in questa veste, il trasferimento di oltre 20mila uomini dal Volturno a Gaeta, approvvigionamenti, uomini, cavalli, carri e cannoni, sono trasferiti in pochi giorni fino a quando, alla fine del mese, non apparvero all’orizzonte i piemontesi guidati dal sanguinario Generale Enrico Cialdini, futuro boia di Pontelandolfo e Gaeta. Una vera e propria fuga in avanti quella dei bersaglieri che volevano dividere in due le forze napoletane. Punto di resistenza era costituito dal 3° e 4° battaglione Cacciatori e da un battaglione del 3° di Linea. A supporto vi erano il 14° Cacciatori, 24 cannoni da campo, 8 pezzi di artiglieria da montagna, due squadroni di Lancieri e uno di Ussari. Dopo poche ore di battaglia viene ferito più volte ma resiste. Continua a dare ordini e a dare fiducia agli uomini che resistono. La sua azione è fondamentale. Senza il fuoco dei suoi cannoni i bersaglieri avrebbero gioco facile ad avvicinarsi al ponte Ferdinando. La resistenza dei Napoletani consente a tutte le truppe a Sud del Garigliano di passare il fiume e di portarsi, ordinatamente a Gaeta dove Francesco II e Maria Sofia si preparano Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Marcello Curzio Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Lapio: storie di vin... Articolo Successivo Luca Annecchino, il ...