Di Andrea Massaro Storia, Territorio Irpinia, storia, vocazione territoriale, xd magazine 20 aprile 2017 In esclusiva gli atti del plebiscito per l’annessione al Regno d’Italia A distanza di poco più di un mese dalla nomina del professore Francesco De Sanctis a Governatore di Avellino, nomina effettuata il 9 settembre 1860 dal generale Giuseppe Garibaldi, dittatore delle province meridionali del Regno delle Due Sicilie, i problemi affrontati dall’uomo politico di Morra Irpina non furono pochi. A partire dall’assidua vigilanza esercitata affinché le truppe garibaldine e i volontari liberali agissero nella perfetta legalità, evitando ogni forma di sopraffazione, intolleranza e azioni che pure serpeggiavano nelle fila dell’esercito filounitario. Alla vigilia del voto sul plebiscito, indetto per il giorno 21 ottobre 1860, riservato alla nostra popolazione all’annessione dell’intero territorio delle Due Sicilie allo stato unitario, Francesco De Sanctis, alcuni giorni prima, esattamente il 16 ottobre, in qualità di Governatore, si rivolse ai suoi comprovinciali spiegando il significato del NO e del SI del voto referendario, con un vibrante proclama nel quale, con acutezza di ragionamento e spirito persuasivo, cercava di spiegare i vantaggi che sarebbero scaturiti alla popolazione nel votare per il SI e gli enormi svantaggi discesi agli stesi abitanti, dal voto a favore del NO. Il proclama, emesso alla vigilia dell’adunata plebiscitario, si apriva con l’invito diretto al Popolo di questo provincia con la premessa di spiegare tutte le ragioni del SI e del NO. Occorre premettere che durante il mandato di Governatore il Professore De Sanctis in data 27 settembre di quell’anno, anno carico di avvenimenti decisivi del nostro Paese, era stato nominato Direttore dell’Istruzione Pubblica, all’epoca equiparato alla carica di Ministro alla Pubblica Istruzione, incarico che in appresso, ad unificazione d’Italia, sarà effettivamente concentrato nelle sue mani. Il proclama, uscito dalle stanze del palazzo dell’Intendenza di Avellino, poi palazzo della Prefettura, premette che votare per il NO significa votare per l’ignoranza, mentre il voto per il SI è un voto dato all’istruzione. Più oltre il proclama enumera le mille ragioni del SI, mentre smonta le calunnie poste in giro dagli avversari come quelle dei “contadini di Montemiletto i quali dicono ingenuamente in una loro dimanda al Dittatore, che i galantuomini avevano fatto una lista di donzelle per disonorarle, e che perciò avevano meritato la morte. Quelli di Ariano credevano che i liberali erano venuti a rubare il loro santo. Queste sciocchezze avrebbero fatto sorridere di compassione i popolani Toscani o Piemontesi che tutti sono andati a scuola. Presso di noi le scuole vi sono per cerimonia; là si fa per davvero […]. Votare per il No, ancora, era un voto dato alla povertà. Il nostro paese per natura è il più ricco del mondo; il governo borbonico ne ha fatto il più povero. Mendicanti, cenciosi, contadini affamati, borghesi anelanti come cani alla pagnotta, ecco in che stato si trova una gran parte di noi[…]. Arbitrio del re, arbitrio dell’Intendente, del giudice, di Monsignore, del capo urbano, del gendarme, non si sfuggiva all’arbitrio se non a danaro contante […]. Votare per il No significava votare per l’intrigo. Le vie diritte non spuntavano; il merito divenuto un titolo di esclusione: l’onestà derisa come imbecillità. Volevano riuscire? Bisognava conoscere la chiave, quando saliva in un posto, la prima domanda era: chi l’ha portato? Si era perduta l’idea della giustizia […]. Un popolo ignorante non ragiona, ma ubbidisce. Un popolo povero pensa al pane e lascia fare a noi. E quando un popolo è corrotto, nelle sue basse passioni di campanile dimenticherà la libertà e la patria […]. Ecco o Cittadini che cosa vuol dire votare pel NO. Vuol dire votare per il governo delle bastonate, che vi avrebbe reso il popolo più stupido ed incivile del Mondo, se l’ingegno e la forza della razza italiana lo avessero consentito […]. Votare pel SI. Quando avremo scuole popolari, scuole tecniche per gli operai, scuole agrarie, scuole industriali: nuove vie si apriranno per guadagnarci la vita, acquisteremo coscienza della nostra dignità, e non si dirà più di noi: furono trattati da animali, perché erano animali. Votare per la ricchezza. Le strade ferrate ci riavvicineranno. Avremo associazioni di operai, casse di risparmio e di mutuo soccorso […]. Votare per l’indipendenza e la grandezza della nostra Patria. Che siamo stati finora? Un popolo diviso in piccoli stati, incapaci, di difendersi, invasi e calpestati […]. Saremo una Nazione di 26 milioni di uomini, una di lingua, di religione, di memorie, di coltura, d’ingegno e di tipo: saremo padroni in nostra casa: potremo dire con orgoglio romanico: siamo Italiani […]. E lo straniero che ci ha comandato e ci ha disprezzato, dirà: questa è una razza forte: è stata grande due volte, e quando dopo tanti secoli di oppressione la credevamo morta. eccola che leva il capo, più grande ancora […].” Avellino, 16 ottobre 1860. Il governatore: Francesco De Sanctis Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Andrea Massaro Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente Avellino-Rocchetta, ... Articolo Successivo Ariano 1715: il test...