Di Valerio Massimo Miletti Luoghi, Territorio 7 agosto 2020 Le origini della città di Avella risalgono ad epoca molto remota, certamente precedenti alla fondazione di Roma. Il suo territorio era molto più esteso di adesso ed andava dal Partenio alla fertile Piana di Palma Campania. Era abitata dagli Osci che parlavano un dialetto che era un misto tra il greco e l’etrusco. Passò, poi, sotto la dominazione etrusca per ritrovarsi Sannita intorno al 400 a.C. e successivamente Municipio romano. Più volte dette prova di fedeltà a Roma in occasione della guerra di Pirro o delle guerre contro Irpini, Lucani, Sanniti e Pugliesi. Fu attaccata da Vandali e Goti, che la distrussero – tranne il formidabile castello – e solo nel periodo normanno trovò un intervallo di relativa tranquillità. ph. Fabrizio De Marco Il castello di Avella – noto anche come Castello di San Michele – si trova a circa 300 metri di altitudine e domina l’attuale centro abitato. Alcuni studiosi ritengono che possa risalire al VII secolo, quindi al periodo longobardo, ma alcune verifiche effettuate nel 1987 in occasione di intervento di restauro, avrebbero datato la costruzione all’XI-XII secolo, quindi al periodo normanno. Sembra, tuttavia, che alcuni documenti ne parlino già nel IX secolo quando fu oggetto di feroci scorrerie come quella dei Saraceni nell’883. La posizione è ovviamente strategica e alle sue spalle si stagliano i monti di Avella, mentre la collina digrada verso il fiume Clanis. La fortezza era stata costruita per controllare una strada che attraverso il passo di Monteforte andava dalla Valle del Sabato verso la Puglia. La struttura si presenta ancora oggi molto articolata ma, su tutto, si erge una grande torre cilindrica a base troncoconica. Alta quasi venti metri, ha una superficie aperta da finestre e feritoie. All’interno presenta tre locali sovrapposti. L’ingresso era al livello del primo piano, mentre la sala al pian terreno era adibita a magazzino ed era priva di luce. Sulla sua sommità vi era un’apertura che consentiva il passaggio al primo piano, da cui attraverso una seconda botola e con una scala di legno si poteva passare ai piani superiori. Ed in questo le similitudini con la torre del castello di Rocca San Felice sono evidenti. La sommità della torre aveva una merlatura cosiddetta “guelfa”, (ovvero con sommità squadrata), visibile ancora negli ultimi anni dello scorso secolo, ma adesso purtroppo inesistente. Il maniero è avvolto da ben due cinte murarie, ad una diversa quota. La prima ha una forma ellittica ed è ascrivibile al periodo longobardo. Chiude una superficie di circa diecimila metri quadrati ed è intervallata da dieci semitorri. La seconda cinta, del periodo normanno, ha una forma poligonale con una porta carraia nell’angolo sud-orientale e nove torri tutte quadrangolari tranne quella situata nell’angolo sud-occidentale, che è a pianta pentagonale. Più volte distrutto e ricostruito, il castello subì sicuramente una ristrutturazione nel corso del XIII secolo. Tra le due cinte murarie si vedono i resti di molti ambienti che dovevano essere vere e proprie abitazioni. L’unico edificio meglio conservato, risulta essere una grande cisterna di forma rettangolare situata all’interno della cinta muraria interna. ph. Fabrizio De Marco E’ comunque un notevole complesso monumentale ma solo intorno agli anni 2000/2001 è stato oggetto di esplorazione e studio sistematico a causa della disponibilità di finanziamenti rivolti, però, al settore archeologico. La collina su cui si erge il castello, infatti, è stato anche il luogo di importanti ritrovamenti di questo tipo. Nel 1745 tra le rovine del castello fu ritrovato il cosiddetto “Cippo Abellano” – o “Cippus Abellanus” alla latina – risalente al 150 a.C. ed attualmente conservato presso il Seminario Arcivescovile di Nola. Il reperto importantissimo è una lastra di pietra calcarea con un’iscrizione in lingua Osca che tratta della convenzione stipulata tra le città di Abella e Nola su alcuni terreni dove sorgeva un comune tempio di Ercole. L’atto risulta stipulato tra due magistrati e descrive i confini del tempio, la proprietà, la regolamentazione edilizia all’interno e all’esterno dell’area sacra ed indica anche i confini tra i territori delle due città. Spesso, infatti, dopo la nascita di Nola, vi furono tensioni per i ripetuti sconfinamenti che i Nolani mettevano in atto nei confronti degli Avellani. ph. Fabrizio De Marco Inoltre, nelle località Casale e San Nazzaro vi sono una serie di monumenti funerari di epoca romana, mentre in prossimità del rione San Pietro c’è il famoso Anfiteatro di epoca tardo-repubblicana che è uno tra i più antichi della Campania, di cui si conservano la cavea e l’arena ellittica. Fu distrutto dai Sanniti nell’87 a.C. e poi ricostruito. E ancora numerosi reperti ceramici che vanno dal neolitico all’età tardo-romana, insieme ad altre iscrizioni in Osco, sculture ed altri reperti, sono esposti in alcune sale dell’edificio che ospita la Soprintendenza. Il primo barone Avellano fu Arnaldo, nipote di Riccardo, conte di Avella e principe di Capua, per poi passare a Rinaldo III e poi alla famiglia Orsini. Sul feudo di Avella altre importanti famiglie signorili si avvicendarono, come i Colonna, i Saracino e i conti Spinelli che abbellirono la cittadina, restaurarono il castello e costruirono il palazzo baronale. Questo palazzo, denominato Alvarez de Toledo, ed i giardini detti di Livia Colonna, furono realizzati perché si sentì forte la necessità di avvicinarsi al centro della cittadina, essendo cambiate le condizioni politiche e sociali. Dal 1578 al 1604, per oltre venticinque anni, la cittadina beneficiò della magnanimità di Ottavio Cutaneo che fece rifiorire le arti, le scienze, l’agricoltura, fece lastricare nuove strade e ricostruì le case ai poveri. Il baronato di Avella proseguì con i Doria di Genova e i del Carretto fino all’eversione della feudalità nel 1806. Bello ed interessante da vedere il castello, ma anche l’antica cittadina merita una visita. Nel centro storico c’è il decumanus maximus ovvero l’antica strada principale dove ci sono chiese ed antichi palazzi e poi, come già detto, vi è un tesoro archeologico da visitare, con l’Anfiteatro e i Monumenti funerari. Da non trascurare la parte gastronomica poiché Avella è anche famosa per la nocciola, cosiddetta Avellana, per le ciliegie, per il miele e per l’olio. Altra importante tradizione locale è quella della festa del Majo, coincidente con quella per il Santo Patrono, che qui è San Sebastiano martire, che si festeggia il 20 gennaio. Il majo non è altro che un albero, generalmente di pioppo. Ci si ritrova di buon mattino dopo aver ascoltato la Santa Messa dove sono stati benedetti gli attrezzi che serviranno per tagliare il majo, e ci si dirige verso le montagne per il taglio. Quasi sempre durante la sosta lungo il percorso, si mangia e si beve in compagnia. Nel pomeriggio si fa rientro in paese, attesi con grande enfasi dalla popolazione accompagnata talvolta dalla banda musicale, e con l’aiuto di funi si erige sulla piazza il majo più bello e più dritto. Quest’ultimo, circondato da fascine ed altra legna, sarà bruciato in onore del santo, sempre accompagnato da canti, balli e degustazioni gastronomiche. In altri paesi, dove vi è la medesima tradizione, sarà invece venduto ed il ricavato devoluto al comitato festa. Molti sono i botti e gli spari di armi caricate a salve, durante lo svolgimento della manifestazione. Questa festa ha sicuramente origini remote, forse collegate con la primavera, (Majo – Maggio) e fatta a scopo propiziatorio e di ringraziamento. Avella merita proprio una visita per tutte le sue bellezze, la sua gastronomia e le sue antiche tradizioni, patrimonio culturale da salvaguardare. Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Valerio Massimo Miletti Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente DE MATTEIS AGROALIME... Articolo Successivo Gruppo Vitillo. L...