Di Antonio Mango Luoghi, Territorio Irpinia, luoghi, territorio, vocazione territoriae 2 dicembre 2016 Fu il presidente Napolitano, agli inizi del suo primo settennato, ad aprire una campagna di civiltà. In Italia ancora troppi infortuni sul lavoro. Per questi in genere si pensa all’industria o all’edilizia. Ma al primato negativo concorre anche l’insospettabile agricoltura. Quarantamila le denunce, secondo le stime Inail, nel solo 2014. Circa il 5 per cento concluse con un danno permanente. Incidenti, dicono le statistiche, in calo, ma non abbastanza. Guardia alta, quindi, su un settore in apparenza agreste e rasserenante, ma gravido di rischi per chi ci lavora. E se si pensa all’Irpinia e all’olivo, la sua coltura più diffusa, spalmata com’è sull’80 per cento dei Comuni, i rischi non sono per niente un ricordo del passato. Il grido d’allarme viene da Cia Agricoltori Italiani provinciale e dalle associazioni e cooperative Aipo e Aos, attraverso il progetto “Oleare la sicurezza”, curato da Irfom (Istituto di ricerca e formazione per il Mezzogiorno), col contributo determinante di Inail Campania. Ma facciamo un passo indietro e guardiamo al contesto nazionale della produzione olivicola e ai “suoi” infortuni. Come può accadere che ci siano incidenti ancora così diffusi in un settore che vanta una crescente reputazione sui mercati? Accade, purtroppo. La filiera produttiva comprende agricoltori, frantoi, raffinatori, miscelatori e in ognuno di questi passaggi si nasconde il rischio. Gli incidenti sono stimati e divisi in meccanici (trattori, macchine operatrici, utensili) e chimici (fungicidi, insetticidi, diserbanti, concimi, disinfettanti). C’è anche una mutazione delle gerarchie. Con la modernità i secondi hanno superato i primi, dando luogo a patologie cancerogene e degenerative. Tra i primi i più gravi e mortali sono quelli legati all’uso del trattore (50 per cento dei casi). A questo riguardo le macchine sono oggi più sicure, ma stentano a ridursi gli incidenti che nascono da comportamenti errati. Ancora molto diffuse risultano, infine, le cadute dall’alto e le ferite alla testa, come pure la movimentazione manuale dei carichi, in molti casi eccessivi. Come si vede permane una statistica infinita di infortuni sul lavoro, in un settore che non t’aspetti come l’agricoltura e in particolare l’olivicoltura. La superficie agricola coltivata a oliveti in Irpinia occupa il 12 per cento della superficie regionale. Dal punto di vista altimetrico la coltura è praticata prevalentemente in collina (70 per cento) e in montagna (30 per cento). L’olivo in pratica, dalla Baronia all’Alto Sele per l’Irpinia e dall’Alto Tammaro al Calore e Taburno per il Sannio, assicura la tenuta dell’Appennino campano, provvedendo ad occupare, col lavoro di piccole aziende al di sotto dei cinque ettari, terreni che altrimenti sarebbero abbandonati. Aree spesso impervie che mettono a rischio l’incolumità di agricoltori e lavoratori stagionali, frequentemente stranieri, che in totale fanno la consistente cifra di 100mila addetti. Per stare alla filiera, sono 500 i frantoi regionali che generano i pregiati extravergini della Campania, a partire dalle varietà irpine Ravece e Ogliarola. Qualcuno sostiene che le aziende molitorie siano troppe. Ma in molti casi sono gioiellini tecnologici e la loro diffusione e vicinanza alla produzione assicurano all’extravergine un prestigio indiscutibile. Alla qualità e tipicità del prodotto va aggiunto l’ultimo anello che è quello di una maggiore sicurezza sul lavoro. Il progetto Irfom metterà sotto osservazione, con la collaborazione di Inail e delle associazioni di settore della Cia, 300 aziende per ricavarne dati infortunistici, procedure di sicurezza, diffusione di manuali d’uso e comunicazione diffusa sul territorio. Come dire: va bene la qualità dell’olio, ma in gioco c’è pure la qualità della vita o, se si vuole, la vita stessa Condividi con: Facebook Google+ Twitter Pinterest Antonio Mango Google+ Facebook Twitter linkedin Articolo Precedente C’era una volt... Articolo Successivo Luca Cipriano: un gi...